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mercoledì 29 gennaio 2014

Matrimonio Cristiano: fidanzamento e sessualità

Preparazione al matrimonio cristiano




La risposta alla chiamata di Dio nel matrimonio non s’improvvisa.  

Il matrimonio diventa solido se il periodo prematrimoniale è vissuto in preparazione di esso. Come i seminaristi si preparano al sacerdozio, così i fidanzati devono imparare ad amare Dio e il futuro coniuge con quel dono totale di se di cui abbiamo parlato, richiesto anche durante il fidanzamento.  Abbiamo, infatti detto che il Matrimonio è una vocazione,  cioè una chiamata di Dio. è, in altre parole, un dono che Dio fa ai due sposi per la loro salvezza e per il suo progetto d’amore sull’umanità. Ciò è valido per il sacerdozio ed è valido anche per il matrimonio.

Fidanzamento e sessualità

Per il cristiano la sessualità non è scindibile dal disegno d’amore di Dio sull’uomo. Anche i princìpi che devono ispirare i rapporti tra fidanzati, dunque, devono nascere dalla visione cristiana della sessualità:
1.      Questa non è mai fine a se stessa, come un bene di consumo, ma è sempre vista nel contesto della chiamata dell’uomo all'amore cristiano, cioè al dono di sé, al rispetto dell’altro, al servizio e alla promozione dell'uomo.
2.      Il matrimonio cristiano è una “chiamata” a quella forma particolare di amore cristiano tra uomo e donna, che consiste nel dono totale e reciproco di se stessi e nel servizio alla vita secondo il progetto di Dio.  In questo contesto la sessualità diventa forza da illuminare e da educare perché diventi, nel matrimonio, mezzo ed espressione  di questo amore.
3.      E' evidente, in questa prospettiva, che la vita sessuale completa può trovare il suo posto soltanto nel matrimonio, così come gli atti propri del ministero sacerdotale (come ad esempio il confessare o il consacrare l’Eucarestia) trovano posto solo dopo che il seminarista è diventato sacerdote.
Se siamo convinti, dunque, che i rapporti prematrimoniali non vanno d’accordo con l’ideale di amore cristiano, troveremo la forza, nel fidanzamento, di evitare anche tutti quei gesti che potrebbero predisporre ad essi. 
E’ comunque sempre importante sottolineare che è necessario conservare un atteggiamento di semplicità e di prontezza nel saper ricominciare, atteggiamento che scaturisce dalla consapevolezza della grande comprensione di Gesù verso la nostra debolezza e dalla sua volontà di aiutarci.  Nell’amore, si cresce, a poco a poco. (tratto da Gino Rocca, Città Nuova n. 17/1990)



Nel rapporto di coppia, una cosa è, ad esempio, l'amore che cerca di possedere l'altro, altra cosa, invece, è l'amore che sa sacrificarsi per l’altro. Una cosa è amare l'altra persona per il suo corpo, per il piacere e le emozioni che è in grado di procurare, stabilire con lei un rapporto superficiale e limitato nel tempo, altra cosa, invece, è amarla per se stessa, per la ricchezza e la bellezza spirituale che possiede e riuscire a creare con essa un rapporto molto più profondo che dura tutta la vita. 
In quest’ottica, il valore del rapporto sessuale, inteso come rapporto d'amore, dipende dal tipo di amore che esso è capace di esprimere. 
Il rapporto sarà tanto più ricco nella misura in cui riuscirà ad esprimere quell'amore che tende al dono totale di sé; cioè nella misura in cui il piacere non sarà più un oggetto che i due cercano di rapirsi a vicenda, ma diventerà il linguaggio attraverso cui essi sperimentano ed esprimono la loro comunione completa.
Gesù disse al riguardo: «L'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola. Così che non sono più due, ma una carne sola», come dire che il rapporto sessuale raggiunge la sua pienezza di significato solo quando c'è questa capacità di donarsi totalmente all'altro.  Bisogna, quindi, arrivare a questa sessualità adulta, matura, diventare realmente capaci di questo dono totale di sé, cioè di amare l'altro per se stesso, di sceglierlo per tutta la vita, di scoprire la gioia di vivere insieme, di lavorare insieme, di accogliere e dedicarsi insieme ai propri bambini. Anche l'amore per i figli e l'apertura alla vita, infatti, è parte essenziale del matrimonio cristiano. In un contesto del genere, i rapporti intimi costituiscono uno dei momenti più alti nella vita di una coppia.
Per questo, un traguardo del genere non s’improvvisa.  Dietro tanti matrimoni veramente riusciti si scopre sempre un cammino che i due hanno percorso insieme (durante il fidanzamento e anche dopo il matrimonio), dialogando, confidandosi idee, sentimenti, pregando insieme, approfondendo la propria fede…
Ovviamente Gesù non pretende che noi tocchiamo il traguardo in un momento, ma che ci mettiamo in cammino, lealmente disposti a pagare il prezzo che egli ci domanda per raggiungerlo. Questo richiederà, tra l'altro, una grande pazienza e misericordia con noi stessi nel saper ricominciare ogni giorno, senza arrenderci di fronte alle momentanee difficoltà o insuccessi. (tratto da Gino Rocca, Città Nuova n. 3/1989)


Ciro Notarangelo e Clelis Perna in IL MATRIMONIO, vocazione alla santità





venerdì 10 gennaio 2014

Lui si è caricato delle nostre sofferenze, e si é addossato i nostri dolori, di don Tonino Bello





LE TRISTEZZE DEI POVERI di don Tonino Bello





Quella frase di Isaia mi turba con la stessa quota di brividi almeno due volte l’anno. A Natale e a Pasqua.

A Natale, quando contemplo Gesù condannato al legno della mangiatoia. A Pasqua, quando mi inginocchio davanti a Gesù condannato al legno della croce.

Mangiatoia e croce (i due assi che comprimono tutta l’esistenza umana del Figlio di Dio) mi sembrano allora legni così porosi, che riescono a prosciugare, come spugne gigantesche, tutte le tri- stezze del mondo.

Mangiatoia e croce (l’« a» e la «z» del durissimo alfabeto terreno di Cristo) si trasfigurano, sotto i paradossi della fantasia, in due scrigni senza fondo, verso cui precipitano tutte le lacrime della storia.

Mangiatoia e croce (prologo ed epilogo di quella che i teologi chiamano «espiazione vicaria» di Cristo) mi appaiono allora come scafo e antenna di un’unica nave destinata a dragare tutte le mine di dolore galleggianti nel mare della vita.


La frase di Isaia, comunque, è questa: Lui si è caricato delle nostre sofferenze, e si e addossato i nostri dolori.


Sicché, a Natale, a meno che uno non si fermi solo alla scorza sterile delle emozioni, non è possibile guardare la culla di Gesù senza pensare che essa è divenuta la misteriosa calamita attorno a cui si compattano tutte le tristezze del pianeta. La tragedia dei poveri devastati dalla guerra e le lacrime delle genti sconvolte dal terremoto. La malinconia serale delle ragazze filippine accanto alla stazione Termini, e lo sguardo umido del senegalese col presepe degli accendini sulle stuoie adagiate per terra. Il groppo di pianto di Maria che non può far ben figurare la figlia per i suoi diciotto anni e la ferialità di tanti natali vissuti in umidi sotterranei senza canti di pastorali e senza scintillare di comete.

Succede allora che la mangiatoia di Gesù, per un prodigio di strane dissolvenze, non ti sembra più di legno, ma di quella speciale fibra sintetica prodotta dalla sedimentazione stratificata dell’u- mano soffrire.


Ma anche a Pasqua, a meno che uno non ne svuoti il mistero con facili contentature rituali, è impossibile contemplare la croce di Gesù senza convincersi che essa è divenuta il centro di un irresistibile campo magnetico entro cui si condensa il patire di tutte le periferie dell’universo. Lo smarrimento delle madri del Bangladesh che stringono figli smagriti a seni senza latte, e la muta implorazione del nigeriano che mi offre l'ennesimo pacco di fazzoletti al semaforo di via Manzoni. 


Il pudore di Giovanni che si è indebitato a tal punto che nessuno gli fa più credito, e la stanchezza dei profughi croati che trascinano senza meta carretti di masserizie sottratte all’incendio. La solitudine della vecchietta che se ne muore senza alternarsi di figli a capezzali polverosi, e il tanfo greve dei vagabondi metropolitani che il vento della notte raduna come foglie d’autunno nella sala d’aspetto della stazione.


Succede allora che la croce di Gesù, per uno strano processo di alterazione chimica, non ti sembra più di legno, ma di quel materiale che risulta composto da infinite scorie di dolore umano amal-gamate insieme da tutte le lacrime della terra.

Se uno coglie questo trascolorare organico della mangiatoia e della croce, deve ringraziare il Signore. Vuol dire che sta vivendo un momento forte di salvezza.

Ma nello stesso tempo deve trarre tutte le esigenti conseguenze che derivano da questa contemplazione.

Anche lui, cioè, come Gesù Cristo che ben conosce il patire , deve caricarsi delle sofferenze del mondo. 

Non gli possono rimanere estranee le tribolazioni dei poveri. Deve sentirsi interpellato dalla disperazione della vedova che non trova lavoro per il più grande dei suoi figli, e dall’umiliazione di chi si vede sistematicamente superato in tutti i concorsi di stato. E chiamato a condividere l’agonia di Angela che intraprende l'ultimo viaggio della speranza per la sua bambina malata, e la mestizia di Antonio mezzo esaurito che ha da raccontare solo imprese fallimentari. Sente riverberarsi nella sua anima l’amarezza di chi non trova appoggi in nessun santo protettore, e lo scoramento dei genitori il cui figlio, messo alle corde da un sistema di ingiustizia, ha intrapreso, purtroppo, una strada di perdizione.


Scatta per il credente, cioè, come per Gesù Cristo, lo stesso meccanismo della sostituzione «vicaria», ben espresso dalla Gaudium et Spes quando dice che la tristezze e le angosce dei poveri soprattutto, e di tutti coloro che soffrono... sono le tristezze e le angosce dei credenti in Gesù Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.



Ed è proprio da qui, carissimi catechisti, che deve partire ogni discorso che intenda ancorarsi agli ormeggi di una sana teologia della solidarietà. Questi ormeggi sono due: la mangiatoia e la croce.

Sono i «luoghi» che fondano ogni autentico impegno di pace. Ogni rivendicazione di giustizia. Ogni fatica per una società conviviale, sottratta finalmente alle prepotenze dei più «dritti».

A questi luoghi dobbiamo abituare i nostri ragazzi a volgere lo sguardo. Con atteggiamento pensieroso e gravido di progetti, oltre che commosso.

Senza questo sguardo, tutti gli altri discorsi sulla comunione risulteranno ambigui. Se pure non si porteranno dentro i germi dell’egoismo, destinati tristemente a produrre «fiori del male» in un deserto di violenza

sabato 4 gennaio 2014

Mostra il messaggio che ti fu affidato



Il messaggio che Gesù ti ha affidato

Mostra e parla: Matteo 5, 16: “ Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei Cieli”.



Ricordo che quand'ero alle elementari la maestra un giorno ci diede questo compito per casa: "Domani portate qui in classe qualcosa che avete a casa e che pensate possa essere di interesse per tutta la classe". Ci disse che ognuno di noi doveva mostrare a tutti i compagni quello che aveva portato da casa e spiegarlo. Così, se uno aveva un criceto non era sufficiente parlare del criceto - "A casa ho un animale piccolo, peloso, che vive in una gabbia e mangia verdura. Si chiama Tex e ha dei denti come un roditore". No, doveva anche mostrarlo. E nemmeno la maestra si sarebbe accontentata che uno stesse davanti agli altri, mostrasse a tutti il criceto, e non dicesse niente. Non era sufficiente mostrare il criceto - bisognava anche parlare di lui, di come uno lo accudiva, di quello che mangiava, delle sue abitudini.

Anche Dio vuole che i Suoi figli facciano lo stesso - mostra e parla -, specialmente quando si tratta di comunicare la Buona Notizia, ossia Gesù. La felicità delle persone che ami dipende dalla posizione che prendono su Gesù, e questa decisione il più delle volte dipende se vedono in te una prova vivente di Gesù.

Quindi non basta che tu parli di Gesù alle persone che ti stanno intorno. Devi anche mostrare Gesù in una maniera che per loro sia significativa. Moltissime persone non crederanno mai in Gesù Cristo se prima non vedono qualcuno che vive in maniera credibile il Vangelo. In Matteo 5,16 Gesù ti dice: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli». Gesù ti sta dicendo che è la maniera in cui tu vivi che interessa le persone e fa vedere loro quanto Lui è importante nella tua vita.

Ma come col criceto, non serve mostrare e basta quanto già hai - devi anche parlare di lui. Come possono gli altri conoscere il «Padre che è nei cieli» se nessuno gliene parla apertamente? Chi ti sta intorno ti può guardare anche per i prossimi 50 anni, ma forse non arriveranno mai a conoscere Gesù. E' improbabile che ti dicano: "Francesca, sei una persona meravigliosa... Scommetto che Gesù mi ama ed è morto in croce per i miei peccati". No, non succederà! Devi parlare apertamente di Gesù e di quello che ha fatto nella tua vita. Dal mattino della risurrezione fino a oggi, il comando di Gesù è stato «Andate e annunziate» (Matteo 28,10).

Il messaggio che Gesù ti ha affidato è un messaggio da cui dipende la vita o la morte degli altri. Non si arriva a conosce il Padre e il Suo amore - se non attraverso Gesù... e non conosceranno Gesù se tu non glielo annunci. Mostra e parla. E' per questo che Gesù ti ha messo nella vita di quelle persone, di chi ti sta intorno.

Abbiamo parecchi ospiti che vengono qui in Kenya per passare del tempo con i nostri ragazzi di strada. A tutti loro viene fatta la proposta di incontrare Gesù attraverso la Parola. Molti accettano, qualcuno rifiuta. Ma io sono convinto che se Gesù li ha fatto venire da noi è perché si possano incontrare con Lui. Io devo seminare. «Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere» (1Corinzi 3,6).

Io spero che ci sia dentro di te questa santa passione - la determinazione di mostrare e parlare di Gesù. Dio ti ha messo in mezzo a persone per le quali Suo Figlio è morto in croce. Ma esse ancora non lo sanno o non lo capiscono - ma Gesù può fare davvero la differenza nelle loro vite. E probabilmente non si incontreranno mai con Gesù se qualcuno non si fa carico - questo qualcuno sei tu - di mostrare loro e dire loro che c'è Qualcuno che li ama.

Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto

don Luciano

Da Incontri con la Parola, Catechisti.it

mercoledì 1 gennaio 2014

Vi scrivo dal cuore di Nazaret


CIO’ CHE ERA FIN DA PRINCIPIO di don Tonino Bello



 Don Tonino Bello da Nazaret ai Catechisti
                                   
                             
 Vi scrivo da Nazaret. Anzi, dal cuore di Nazaret. Vicino a quel cratere misterioso dove Dio si è fatto uomo e da dove è partito tutto.

Assorto dinanzi alla grotta del «sì» di Maria, scavo con gli occhi  lo spessore del tempo, nella speranza di poggiare lo sguardo su quella patina di roccia dove colui che era fin dal principio ha  poggiato i piedi.

Ma non riesco a forare  le stratificazioni di venti secoli, per met­tere a nudo il livello di calpestio dei suoi passi.

Gli archeologi ci sono riusciti. lo no.

E’ unavventura al 1imite dell'assurdo, che mette in crisi la mia fede.

Perché è difficile che tra quelle pietraie abbia collocato la sua dimora colui che cavalca i cherubini, e si libra, sulle ali del vento,  e fa delle nubi il suo carro, e stende il cielo come una tenda, e costruisce sulle acque la sua dimora...
Basilica dell'Annunciazione, Nazaret


Mi lascio sedurre dalle risonanze dei sa1mi.

Mi accorgo, così, che il problema non è scavalcare a ritroso duemila anni e raggiungere quel punto zero della storia che ha registrato il momento dell'incarnazione del Figlio di Dio.

Tutto sommato, anche se è da ingenui voler scorgere sui sassi le impronte digitali di Gesù o disseppellire i ciottoli sui quali ha im­presso le sue orme  è già una incredibile soddisfazione spirituale poter contemplare i monti di Galilea, e poter dire: lo stesso profilo di monti che entra nelle mie pupille è, entrato anche nelle pupille di Gesù.



Egli ha visto, nelle sue notti insonni, le medesime costellazioni che vedo io stasera. E come me, anch’egli ha percepito l’acre profumo di pervinca che mi ha perseguitato tutto il giorno. E ha contemplato anche’egli come me, lui con cento presagi,m io con mille rimorsi, gli stami della passiflora.

Il problema vero, piuttosto, è coprire la distanza che separa il punto zero da quel “principio” in cui “era il Verbo” come dice Giovanni.


Dov’è questo  “ principio”? Dove sono i colli eterni da cui Egli è partito? In quale abisso siderale di luce sprofonda il suo esistere da sempre? In quali falde misteriose risiedono le sorgenti la cui acqua è venuta a lambire la terra? E’ proprio su questa battigia desolata? A quale arcano disegno d’amore ha inteso obbedire quando, attraversata la compattezza dei secoli dei secoli, lui, l’increato che i cieli  non possono contenere, è venuto ad arenarsi in questa insenatura calcarea che stava davanti a me? Ed è mai pensabile che il disegno universale di salvezza, scritto sui rotoli di Dio fin dall’eternità, abbia trovato quei, in questi tuguri di pecorai, il bandolo da cui si è dipanato?


Péguy parlava di carnalità della grazia! E forse devo adattarmi a leggere in questa frase l’unica risposta capace di placare il tumulto delle mie forsennate domande.

Carnalità della grazia! Salvezza che ci raggiunge solo attraverso interstizi di grembi. Sollecitudini trinitarie che possono farci trasalire mediante sorrisi umani e inflessioni di parole e curvature di carezze. Circuiti celesti d’amore che toccano i nostri corpi terreno solo per via di lampeggiamenti di occhi, di fragranze di sudori, di brividi sulla pelle, di lacrime sul viso. 


Sentieri fioriti dell’eterno che, per incrociare l’uomo, si fanno viottole terrene, e passano dai nostri pozzi, e si sfilacciano nelle nostre valli, e si inerpicano sui nostri colli, e sfiorano le nostre case. Come questa casupola di Maria, nella quale il respiro di Dio, prima di farsi rantolo di morente, si è fatto alito di bambino, profumato di latte materno e di basilico.

Se vuoi essere universale, parlami del tuo villaggio. Forse, chi ha detto così ha proprio pensato alla Nazaret di Gesù, questa incredibile concentrazione di povertà, che ha rivestito del suo dialetto i linguaggi universali di Dio e ha circoscritto nell’umiltà delle sue saggezze paesane la Sapienza del Verbo.



Cari catechisti, finisco qui per non fare naufragio.

Ma se un annuncio di gioia posso darvelo anch’io, come l’ha dato Gabriele, voglio dirvi così: Non temete! Se colui che è da principio noha disdegnato questi sassi, non disprezzerà neppure i macigni del vostro povero cuore. Sappiate offrirglieli, perché, perché stabilisca in mezzo agli uomini il suo domicilio.-

E continuerà, anche per il vostro “sì”, l’avventura della redenzione.




Vista panoramica di Nazaret, in primo piano la Basilica dell’Annunciazione

TUTTA LA NOTTE … E POI di don Tonino Bello



Il catechista in preghiera e le sue attese


TUTTA LA NOTTE … E POI

Eccoci, Signore, davanti a te,
col fiato grosso, dopo aver tanto camminato.

Ma se ci sentiamo sfiniti,
non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto,
o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei.
E’ perché, purtroppo, molti passi,
li abbiamo consumati sulle viottole nostre,
e non sulle tue:
seguendo i tracciati involuti
della nostra caparbietà faccendiera,
e non le indicazioni della tua Parola;
confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre,
e non suoi moduli semplici dell’abbandono fiducioso
in te.

Forse mai, come in questo crepuscolo dell’anno,
sentiamo nostre le parole di Pietro:
“Abbiamo faticato tutta la notte,
e non abbiamo preso nulla”.

Ad ogni modo,
vogliamo ringraziarti ugualmente.
Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto,
ci aiuti a capire che senza di te non possiamo fare nulla.

Ci agitiamo soltanto.
Grazie, perché obbligandoci a prendere atto
dei nostri bilanci deficitari,
ci fai comprendere che, se non sei tu che costruisci la casa,
invano vi faticano i costruttori.
E che, se tu non custodisci la città,
invano veglia il custode.

E che alzarsi di buon mattino, come facciamo noi,
o andare tardi a riposare
per assolvere ai mille impegni giornalieri,
o mangiare pane di sudore
come ci succede ormai spesso,
non è un investimento redditizio se ci manchi tu.



Il salmo 127, avvertendoci che, il pane
tu ai tuoi amici lo dai nel sonno,
ci rivela la più incredibile legge economica,
che lega il minimo sforzo al massimo rendimento.

Ma bisogna esserti amici.
Bisogna godere della tua comunione.
Bisogna vivere una vita interiore profonda.

Se no, il nostro è solo un tragico sussulto
di smanie operative, forse anche intelligenti,
ma assolutamente sterili sul piano spirituale.

Grazie, Signore, perché
Se ci fai sperimentare la povertà della mietitura

e ci fai vivere con dolore il tempo delle vacche magre,

tu dimostri di volerci veramente bene,
poiché ci distogli dalle nostre presunzioni
corrose dal tarlo dell’efficientismo,

raffreni i nostri desideri di onnipotenza,
e non ci esponi al ridicolo di fronte alla storia:
anzi di fronte alla cronaca.

Don Tonino Bello – Parole d’amore (ed. La meridiana