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lunedì 29 settembre 2014

Figli troppo coccolati da genitori troppo apprensivi?





COME DON BOSCO di Pino Pellegrino   dal Bollettino salesiano di Settembre 2014





Le malattie dell'educazione

2. La tarantolite

Stiamo presentando quelle che ci sembrano le quattro principali malattie dell'educazione, oggi particolarmente diffuse in Italia.
Dopo aver parlato della figliolite, è la volta della tarantolite

La tarantola è - lo sappiamo tutti - un ragno con zampe lunghe e corpo peloso di color nero: brutta bestia che irrita la pelle e porta istintivamente a graffiarci.
I genitori ammalati di 'tarantolite' hanno il cervello 'graffiato' da mille problemi: "Il figlio sarà o non sarà sano?". "Dottore, la vaccinazione gli porterà delle complicazioni?". "Non ha ancora fatto certe domande, sarò normale?". "Non mangia il pesce, cosa fare per dargli una dieta integrale?". "Non ha ancora iniziato a parlare: sarà intelligente?". 




A tanti interrogativi possiamo aggiungerne pure uno noi: «È proprio necessario complicarci così la vita?» Grazie a Dio, i figli hanno più risorse di tutte le nostre ansie, di tutte le nostre preoccupazioni!
E poi, forse che la barca si mette a galleggiare sulle nostre lacrime? La pecora che bela perde il boccone, recita il proverbio. Dunque è necessario prendere di petto la 'tarantolite' e vincerla!
I cinesi hanno un bellissimo detto: «Che gli uccelli dell'aria e le preoccupazioni volino sulla vostra testa non potete impedirlo, ma potete evitare che vi facciano il nido».
Ebbene, perché i mugugni non facciano il nido nella nostra mente, la via migliore è quella di un pacato ragionamento. Allora ragioniamo sui piagnistei più diffusi e più pericolosi, oggi, per l'educazione.


Il primo mugugno è quello dell'impossibilità dell'educazione.


"I nostri ragazzi vanno a ramengo, chi ancora li può formare? La televisione ce li rovina, la scuola non ci aiuta, la società ce li guasta"... e giù pensieri vestiti a lutto!!

Ragioniamo, come abbiamo detto. Quando mai è stato facile educare?Pensate: già un grande filosofo greco, Socrate (469-399 a.C.) si lamentava: "I nostri ragazzi amano il lusso, ridono dell'autorità, non si alzano in piedi davanti ad un anziano...". Andiamo più indietro ancora: su un coccio babilonese, datato 2000 anni avanti Cristo, leggiamo: "Questi ragazzi sono marci nel cuore, sono malvagi e pigri. Dove arriveremo?".
Siamo arrivati al 2000 dopo Cristo, e non fu tutto male!
Se avessimo più senso storico, tante 'tarantole' non farebbero il nido nella nostra mente! 



Oltre al mugugno dell'impossibilità di educare, oggi, altri pensieri neri agitano il cervello di troppi genitori.




Si tratta di vere e proprie trappole, come le tre che seguono:
- La trappola del bambino da manuale.
I libri di psicologia stabiliscono le tappe della crescita del bambino. "Il mio non rispetta la tabella di marcia! Abbiamo in casa un ritardato!?"
- La trappola del bambino televisivo.
Il bambino televisivo è una gioia di bambino! Non suda, non fa capricci, non ha bisogni, tranne quello di un po' di Nutella, peraltro subito soddisfatto. Spenta la televisione, che delusione! "Il mio...."
- La trappola del bambino del vicino.
«Lui sì che è bravo! Lui studia, lui ubbidisce, lui è educato...!»
Suvvia, siamo saggi! Il bambino da manuale esiste solo sui libri. Il bambino televisivo è un'astuta invenzione. Il bambino della famiglia che ci sta di fronte è un'illusione, come quella di chi pensa che la moglie del vicino sia una tacchina, mentre, in realtà, è una semplice gallina!


Il lettore ha capito il messaggio del mese:
la vita potrebbe essere la prova generale del paradiso; troppe volte, per colpa nostra, la facciamo diventare un purgatorio.
Sì è tempo di mettere fine alle infinite 'gnegnere' che distruggono l'educazione. Su un punto non vi è discussione tra pediatri, pedagogisti e psicologi: i genitori lagnosi sono sempre genitori disastrosi. 

La pedagogista Elisabetta Fiorentini non ha dubbi: "La gioia è importante come il pane e la conoscenza, se non di più!".
Il famoso pediatra americano Thomas Berry Brazelton comanda: "Genitori, vi ordino: siate felici!". Il pedagogista Giuliano Palizzi conclude: "I genitori che non si divertono ad educare i figli, hanno sbagliato mestiere!". 


APPUNTI SUL FRIGORIFERO
È da saggi scrivere qualche volta sulla bocca: 'Chiusa per nervi'.
Il bambino è persona. Non uno che mangia e si libera.
Il baccano non dà mai una mano.
Dove c'è allegria è sempre estate.
Un sorriso fa fare il doppio di strada di un brontolio!
La vita sarebbe semplice, se non la complicassimo.
Non viviamo cento anni e ci 'tarantoliamo' per mille. Dov'è finito in buon senso? 


MEDITATE GENTE!

"La madre serena è come il miele per il bambino" (Sigmund Freud, fondatore della psicanalisi).
"I sorrisi arrivano dritti al cuore senza passare per la trafila del cervello".
"Un bambino felice, quando crescerà, non avrà bisogno di droga, di alcol, non fumerà trenta sigarette al giorno" (Silvio Ceccato).
"Vi è un piagnisteo sui pericoli dei bambini che rasenta l'idiozia!" (Domenico Volpi).
"Non capiremo mai abbastanza quanto bene è capace di fare un semplice sorriso" (Madre Teresa di Calcutta).

sabato 27 settembre 2014

C A M M I N O d i F E D E: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel...

C A M M I N O d i F E D E: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel...:   Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?   XXVI Domenica del Tempo Ordinario - 28 settembre 2014 Dal Vangelo secondo ...



C O M M E N T O  A L   V A N G E L O

martedì 9 settembre 2014

L'ORATORIO OGGI: è ancora un ponte tra strada e Chiesa?




L'Oratorio: vera opportunità.



...mi sono trovato nella situazione di dover rispondere ad un domanda che a qualche lettore potrebbe apparire assurda, ma che in realtà non lo è se si considera la quasi totale assenza di questa tradizione: “Che cos’è l’Oratorio?”.

Tra le principali “ansie” pastorali che un parroco vive vi è quella della missione di evangelizzazione dei giovani. Essi sono la “pupilla dell’occhio” di una comunità parrocchiale e sono coloro che maggiormente risentono della crisi che, nel nostro tempo, colpisce l’annunzio del Vangelo.

 Cogliere, ancora oggi, la sfida dell’evangelizzazione attraverso la realtà dell’Oratorio è senza dubbio coraggioso. Lo è ancor di più lì dove non esiste quasi nessuna esperienza di Oratorio e dove la maggior parte delle strutture non sono state progettate e realizzate per questa finalità.

Il desiderio e la voglia di creare una “famiglia” attorno a questa felice opportunità superano abbondantemente le possibili difficoltà iniziali. Ed è così che si incominciano a diffondere e delineare belle realtà di Oratorio in quella parte d’Italia dove, forse per troppo tempo, si è maggiormente diffusa la devozione popolare a discapito di questo “antico, ma sempre nuovo” strumento pastorale.

In diversi casi mi sono trovato nella situazione di dover rispondere ad un domanda che a qualche lettore potrebbe apparire assurda, ma che in realtà non lo è se si considera la quasi totale assenza di questa tradizione: “Che cos’è l’Oratorio?”

Ho provato nel tempo a darmi una personale risposta per soddisfare nel modo migliore il desiderio altrui di conoscenza. L’Oratorio non è solo “il luogo fisico in cui vanno a giocare i bambini”. Ridurre l’Oratorio a una così semplicistica definizione mortificherebbe l’impegno e la passione di tanti animatori e catechisti che con grande entusiasmo si mettono al servizio del prossimo.

L'Oratorio, nella sua accezione più vera e profonda, è sinonimo di accoglienza, mano tesa, incontro, ascolto, scuola di vita, servizio, coerenza, rispetto, gruppo, squadra, difficoltà, maturità… potrei continuare all’infinito per delineare l’arcobaleno di atteggiamenti, valori e sentimenti che si costruiscono attorno a questa realtà.

Chi pensa che l’Oratorio esista solo dove ci sono campetti, saloni e teatri sta perdendo l’occasione di sperimentare emozioni ed espressioni che nascono anche solo per strada o nella piazza, perché l'Oratorio non è solo un luogo, ma è comunione di persone, esperienze, abilità, età.

Fatta questa premessa e considerando la mia personale esperienza di parroco, desidero raccontare come l’Oratorio è diventato oggi non soltanto strumento di pastorale giovanile, ma anche casa di tutti, dal più piccolo al più grande. Volgere lo sguardo indietro non è sempre positivo, ma nel nostro caso può essere utile considerare il cammino fin qui fatto, guardando al punto di partenza, per ricordarsi del crescente bisogno di dare spazio ai giovani in una terra che, fino a una decina d’anni fa, dell’Oratorio conosceva, forse, solo il nome.

Nato dalle ceneri di un asilo dismesso, per diventare operativo l’Oratorio “Giovanni Paolo II” di Olivarella (ME) ha richiesto l’accensione di un mutuo le cui rate sono state pagate grazie alla disponibilità di un centinaio di famiglie che mensilmente, per tre anni, hanno partecipato con il contribuito di una quota.
Tutti insieme abbiamo vissuto la sua inaugurazione alla presenza del Vescovo, l’inizio delle attività, le soddisfazioni e le difficoltà… oggi, dopo diversi anni, il centro raccoglie circa duecento tesserati: non solo giovani dai 6 ai 22 anni, ma anche adulti e anziani che tra le mura dell’Oratorio si sentono a casa loro.

Un luogo in cui si cresce umanamente, attraverso il gioco e la condivisione, ma anche cristianamente, con i cammini di formazione che la parrocchia promuove. Una realtà che nel tempo si è positivamente fatta spazio nel territorio e che contribuisce a contrastare gli equilibri negativi: i ragazzi hanno finalmente un punto di riferimento e non stanno più in strada, gli anziani combattono la solitudine incontrandosi e giocando a carte e le famiglie si ritrovano per condividere momenti comunitari di festa. C’è posto davvero per tutti ed in particolare per quelle persone che, per utilizzare il linguaggio di Papa Francesco, consideriamo come appartenenti alle “periferie” umane della storia.

Se dovessi fare una valutazione nella veste di direttore del Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile e del Coordinamento degli Oratori posso decisamente affermare che questa è davvero una felice primavera. Essa vede, ormai dal 2007, un continuo fiorire di nuove realtà. Solo nella diocesi di Messina circa venticinque parrocchie hanno avviato un Oratorio partendo da zero, per non dire dal nulla.

Ogni anno se ne aggiungono altre chiedendo corsi di formazione per avviare l’attività. Siamo all’inizio di un nuovo cammino. Un cammino tanto bello quanto ripido. Ma sembra che si stia diffondendo sempre di più la consapevolezza che l'Oratorio può essere davvero il "ponte tra la strada e la Chiesa". Allora non resta che avere coraggio e osare, dedicare del tempo e far crescere la passione, perché l’orizzonte è veramente sereno!

Padre Dario Mostaccio
Diocesi di Messina Lipari Santa Lucia del Mela
http://www.donboscoland.it(Quaderni Cannibali) Luglio 2014




venerdì 5 settembre 2014

lunedì 28 luglio 2014

LA FIGLIOLITE. Genitori e figli: inquinamento nella formazione (valido anche per i catechisti/e)



       Le malattie dell'educazione di Pino Pellegrino
 
L'acqua può essere inquinata, l'aria può essere inquinata, il cibo può essere inquinato: tutto può essere inquinato!
Anche l'educazione. L'inquinamento pedagogico nasce da alcune malattie da cui possiamo tutti essere contagiati.
Le più diffuse, oggi, in Italia ci pare siano quattro: la 'figliolite', la 'tarantolite', la 'sclerocardia' (la durezza di cuore) e il rachitismo psicologico. Le vedremo, ad una ad una, nel nostro appuntamento mensile. 


La figliolite

La 'figliolite' è la malattia dei genitori che stravedono per i figli, la malattia di genitori che non si decidono mai a tagliare il cordone ombelicale.
Erano ammalate di 'figliolite' le madri di Ronco Scrivia (Alessandria) che nel novembre 1999 divennero furibonde ed insultarono l'allenatore di calcio che, giustamente, aveva richiamato i loro figli.
Era ammalata di 'figliolite' quella mamma che a Porto Viro (Rovigo) nel dicembre 1999 aggredì la dirigente scolastica, la prese per i capelli, strattonandola e spintonandola perché ritenuta colpevole d'aver sospeso per un giorno il figlio che aveva notevolmente disturbato le lezioni.
Era ammalata di 'figliolite' quella mamma che per cancellare le prove della colpevolezza del figlio, bruciò ben sette capolavori del famoso pittore spagnolo Pablo Picasso (1881-1973), rubati dal ragazzo al museo di Rotterdam (Olanda) nel luglio 2013.
Era ammalata di 'figliolite' quella madre dei Parioli di Roma che, convocata dall'insegnante per avvertirla che se non si fosse impegnata di più, la figlia avrebbe rischiato la bocciatura, le urlò in faccia. "Questa è una scuola privata! Io pago. Lei non deve seccarmi!".
Quattro esempi di una malattia (la 'figliolite') che produce solo guai!



Il figlio troppo protetto, infatti, si illude d'essere infallibile, 

perfetto, insindacabile: ed ecco la premessa di un futuro 

despota, di un futuro prepotente. Questo il primo danno 

della 'figliolite'.




 Il secondo non è meno pesante. Dalla malattia pedagogica di cui stiamo parlando nascono i cosiddetti 'figli prolungati': i figli che non si decidono mai a lasciare la famiglia, per andarsene a vivere in proprio. 


Il fenomeno è tipicamente italiano. In Inghilterra e negli Stati Uniti i figli salutano e se ne vanno ben prima di sposarsi, spesso quando iniziano a frequentare l'Università, già tra i sedici ed i diciotto anni. In Francia l'82% dei ragazzi tra i venti ed i trent'anni vive per conto proprio, in Germania la percentuale scende di poco, attestandosi al 74%.

 In Svezia a sedici anni i ragazzi vengono mandati fuori casa (forse anche troppo violentemente!) in Italia no! Qui abbiamo figli che a 35-40 anni (!) continuano a riscaldarsi al focolare del tetto natio.
E così, standosene tranquilli in casa, i ragazzi ritardano sempre più il momento di crescere e maturare.
Un'inchiesta condotta pochi anni fa ha rivelato che il 46% dei ragazzi italiani non ha voglia di diventare adulto. Sono ragazzi culturalmente più preparati di qualche generazione fa, ma con un forte ritardo per quanto riguarda la maturazione umana.
Ragazzi incapaci di farsi carico di sé. Ragazzi insicuri. Ragazzi bonsai!


Mamme, per favore, tagliate il cordone ombelicale.
La psicologa Maria Rosa De Rita ci dà questo consiglio: "A 27 anni, al massimo, buttateli fuori di casa, come ho fatto io. Un giorno vi ringrazieranno!".
Se non possiamo arrivare a tanto (scrivere è facile, il momento è difficile: ne siamo ben consapevoli!) d'ora in poi, almeno, quando a sera torna a casa il 'cucciolone' di 35 anni, non sforniamogli più i sofficini.



Sì, perché, diciamocelo chiaro: non è forse vero che talora siamo proprio noi a non volere che il figlio se ne vada di casa?
Siamo noi che, a conti fatti, non abbiamo imparato ad amarlo.
Chi ama i fiori non li calpesta, né li coglie per sé, ma li lascia crescere, liberi e belli, nel campo.

In termini più pedagogici: amare davvero il figlio è liberarlo dal nostro bisogno di aiuto!
Amare il figlio è desatellizzarlo. 



BOCCIATI IN AUTONOMIA
 
I bambini italiani sono bocciati in autonomia. Lo rivelano serie ricerche che hanno interessato molti Paesi europei e diversi Stati del mondo. Da tali ricerche risulta che appena l'8% dei bambini italiani va e torna a casa da scuola da solo, di fronte al 25% dei coetanei inglesi ed il 76% dei tedeschi.È una delle tante conseguenze della nostra tipica 'figliolite' che rimanda sempre più, come abbiamo detto, l'autonomia del figlio. Accompagnare il piccolo a scuola, infatti, è impedirgli di acquistare sicurezza, è indebolirgli l'autostima, è impedirgli di integrarsi e di rafforzare i legami con le persone del quartiere.
È vero che i pericoli dei bambini non sono un'invenzione. Però è anche vero il proverbio: "Mai la catena ha fatto buon cane". Più vero ancora è quello che ci manda a dire un esperto del mondo giovanile d'oggi, Domenico Volpi: "Vi è in Italia un piagnisteo sui pericoli dei bambini che rasenta l'idiozia!".
Parole decise che ci invitano a liberarci dal cosiddetto 'complesso del bagnino' che vive con il terrore che qualcuno anneghi! 

QUESTO DICO AL FIGLIO ADOLESCENTE

• Non giudicare una persona dalla piega dei pantaloni.
• Meglio gentile nei modi che elegante nella moda.
• Se non alzi gli occhi, crederai d'essere sul punto più alto.
• I pugni non hanno cervello.
• La vita non è una scatola di cioccolatini.
• Ridi di te stesso: avrai materia per stare allegro tutta la vita! 


APPUNTI SUL FRIGORIFERO

• L'educazione si salva salvando gli abbracci, non le urla.
• La mamma troppo valente fa la figlia buona a niente.
• In ogni sorriso vi è un gol strepitoso.
• Chi non ha mai sbagliato, ben poco ha combinato.
• Prima di parlare è bene chiedere permesso all'esempio! 

Bollettino Salesiano Luglio-Agosto 2014 COME DON BOSCO
Le immagini sono riportate dal Web

Cristiani in Iraq: uccisi, depredati...cacciati dalle città




"Non ci sono più cristiani a Mosul"


Uccisi, depredati o, nel migliore dei casi, cacciati da una città che abitavano da (almeno) 1.400 anni: è il destino dei cristiani di Mosul, la seconda città dell'Iraq, travolta dall'offensiva dei terroristi dell'Isis (Stato islamico dell'Iraq e del Levante), il gruppo islamico radicale che - nato e cresciuto in Siria grazie all'incancrenirsi della guerra civile e all'inerzia dell'Occidente - nelle ultime settimane sta conquistando porzioni crescenti dell'antica Mesopotamia. Prendendo di mira, è bene ricordarlo, non solo i cristiani ma tutte le minoranze, a partire dai musulmani sciiti. 

Con un'azione che ricorda i peggiori pogrom della storia, i terroristi dell'Isis e le milizie sunnite che danno loro man forte hanno addirittura segnato le case dei cristiani di Mosul con il corrispettivo arabo della lettera N, iniziale di Nazareni, il nome con cui i seguaci di Gesù sono chiamati spesso nel mondo musulmano arabo. Ai tremila che avevano resistito durante gli anni, già molto difficili, della guerra civile post-Saddam, è stato intimato di andarsene. Non pochi, naturalmente, quelli che sono stati sommariamente uccisi o sono spariti nel nulla. Distrutti o danneggiati anche molti edifici, tra cui il palazzo episcopale dei siro-cattolici e l'antico monastero di Mar Behnam, da cui i monaci sono stati brutalmente cacciati (così come molte sono state anche le moschee sciite distrutte). 

«Ormai nessun cristiano si trova più a Mosul - ha dichiarato lunedì a Radio Vaticana mons. Saad Syroub, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad -. Le famiglie fuggite sono in una situazione molto difficile, perché non hanno niente: sono state derubate della loro macchina, dei soldi, della casa, del lavoro. E non possono tornare. Quindi la situazione è molto critica; c’è bisogno di un intervento urgente per aiutare queste famiglie». 

Proprio sulla necessità di un aiuto concreto e immediato insiste un testo firmato da tutti i vescovi iracheni (che rappresentano il mosaico di confessioni cristiane presenti nel Paese) e diffuso martedì scorso. Con una nemmeno troppo implicita condanna della latitanza delle istituzioni di Baghdad e dell'Occidente, i vescovi scrivono: «Attendiamo azioni concrete per rassicurare il nostro popolo, e non soltanto comunicati stampa di denuncia e di condanna: sostegno finanziario agli sfollati che hanno perduto tutto, pagare immediatamente i salari dei dipendenti statali, indennizzare tutti coloro che hanno subito perdite materiali e assicurare alloggio e continuità nella erogazione dei servizi sociali e scolastici per le famiglie che potrebbero dover trascorrere lungo tempo lontano dalle proprie case». 

Se in questo momento prevalgono le necessità materiali resta, sullo sfondo, la preoccupazione per il destino che attende i cristiani nel lungo periodo, in Iraq così come in molti altri Paesi del Medio Oriente.

Dal 2003, anno dell'invasione decisa da George W. Bush, il numero dei cristiani iracheni è sceso da quasi un milione e mezzo a circa 450mila. A Mosul erano 130mila nel 2003, erano già scesi a 10mila un anno fa e ora sono praticamente azzerati. Trend analoghi si registrano in altri Paesi della regione, anzitutto in Siria. 




È anche vero che questi tragici fatti sembrano avere attivato, più che in passato, la solidarietà dei musulmani iracheni nei confronti dei loro concittadini. Come fa notare in un'intervista lo scrittore iracheno Younis Tawfik, da anni esiliato in Italia, «i cristiani iracheni di Mossul hanno più diritto di noi alla loro terra e alle loro case. Abitano la città da prima dell’arrivo dell'islam e noi abbiamo il dovere di proteggerli». A Baghdad domenica scorsa circa duecento musulmani si sono riuniti davanti alla chiesa caldea di San Giorgio per esprimere la propria solidarietà ai cristiani. Molti innalzavano cartelli con la frase «kulluna masihiyyun», siamo tutti cristiani, e con una “N” finale. Anche sui social network si diffondono campagne di solidarietà. 

Intanto anche il Papa non fa mancare la sua voce e la sua vicinanza: martedì ha ricevuto il nunzio apostolico in Iraq, mons. Giorgio Lingua, mentre domenica - durante l'Angelus - ha ricordato la situazione dei cristiani: «La violenza si vince con la pace», ha detto con parole che in questo momento sono drammaticamente attuali in molti luoghi del mondo. 

da  http://www.popoli.info/