Senza l’aiuto della famiglia, la
Chiesa può fare poco.
In un contesto
sociale e culturale ormai scristianizzato
le nuove
generazioni rischiano seriamente
di crescere
senza valori,
perché non li
hanno conosciuti.
Chi opera
nella catechesi finalmente si è accorto che manca qualcosa nello stabilire un
dialogo serio, convincente con i ragazzi. A parte i problemi pratici di ogni
parrocchia, ci siamo accorti che il mondo è cambiato, la famiglia non è più
come una volta: stiamo assistendo, già da un
po’ di tempo, ad un continuo allontanamento dalla frequenza ai riti
religiosi, e forse ci siamo abituati alle frequenti separazioni dei coniugi, ai
divorzi che non fanno più scandalo né notizia ma diventata prassi comune.
Contemporaneamente c’è una prassi abitudinaria, da parte dei
genitori, di mandare i figli al catechismo in preparazione della prima
comunione e della cresima.
Mandare, posteggiare e che se la sbrighino i preti. Sarà
menefreghismo, ignoranza, o credenza che arriva da lontano come prassi e
tradizione?
Perché?
Sicuramente ogni parroco e ogni catechista avranno tante
risposte da dare a questa domanda. Ma prima vorrei che rispondessero a queste
altre:
Avete fatto attenzione alla crescita dei vostri ragazzi? Vi
siete preoccupati di condurli verso scelte libere nel rispetto della loro
maturazione umana e cristiana? Conoscete, dico conoscete, le loro famiglie o
avete cercato seriamente di coinvolgerle nella formazione cristiana dei lori
figli?
Forse avete rinunciato ad avvicinarle credendo che non si
sarebbero fatte avanti, ma avete prima studiato un piano di coinvolgimento? Non
dobbiamo decidere solo noi, facciamolo insieme!
Eppure sappiamo tutti come sia importante il ruolo della
famiglia nell’educazione religiosa dei loro figli: una famiglia unita, che si
parla, che comunica, che non rimane isolata in mezzo ai tanti problemi della
vita, che crede in Dio e prega.
Parliamo della
famiglia, per porre le basi per un avvicinamento serio e un loro coinvolgimento
futuro.
Da un
articolo di Corrado e Nicoletta Demarchi, pubblicato in: “Vita diocesana
Pinerolese, 03 aprile 2011
“Orientare i figli al bene
significa aiutarli a diventare persone buone, corrette ed oneste”.
E’ opinione diffusa che,
mentre la buona educazione e le buone maniere debbano essere insegnate ai figli
dai genitori, l’educazione religiosa debba invece essere competenza di terzi:
del parroco, delle catechiste, degli animatori.
Il documento di
programmazione dei prossimi dieci anni proposto dai vescovi italiani dal titolo
“Educare alla vita buona del Vangelo” sottolinea questa preoccupante
situazione.
Un’ora alla settimana non
è sufficiente per far maturare nei bambini il desiderio di crescere nella fede.
Anzi, tornando a casa e vedendo il disimpegno dei familiari, penseranno che
quanto hanno appreso all’oratorio non è degno di essere approfondito e vissuto.
La trasmissione della fede
è avvenuta per due millenni in stretta collaborazione tra la famiglia e la Chiesa. Senza
l’aiuto della famiglia, la Chiesa
può fare poco. In un contesto sociale e culturale ormai scristianizzato, le
nuove generazioni rischiano seriamente di crescere senza valori, perché non li
hanno conosciuti.
A noi genitori spetta,
quindi, una grande responsabilità. La nascita di un figlio trasforma
l’esistenza del padre e della madre, invadendoli di una grande gioia, ma
caricandoli anche, di doveri ben precisi. Perché questa paternità e maternità
non diventino, però, un peso è necessario viverle nella prospettiva di una
missione dove amare i figli come Dio li ama, seguendoli e accompagnandoli come
Lui li segue; significa condividere con il Signore questa opera stupenda,
aiutandoli a portare alla maturazione le loro enormi potenzialità e la loro
vera vocazione. I figli hanno nei loro genitori il punto di riferimento ed il
modello a cui ispirarsi.
Attenzione
affettiva e morale
Oltre all’attenzione e
formazione intellettuale e fisica, alle quali siamo tutti molto attenti e
rigorosi, bisogna affiancare quella affettiva e morale. Ricevere e donare amore, significa prepararli
ad affrontare positivamente le vicende della vita; pena una fragilità
psicologica e morale, di tragica attualità nella cronaca quotidiana.
Educare alla libera
volontà significa, quindi, abituarli alla disciplina, all’applicazione ed alla
rinuncia, per arrivare ad un bene più grande.
Tutti noi vorremmo avere
la certezza che i nostri sforzi educativi producano dei frutti. Gesù, nella
parabola del buon seminatore, ci ricorda però che, nonostante tutto il nostro
impegno, il seme dei buoni insegnamenti non sempre viene accolto nel terreno
dei figli.
Questo non ci deve
scoraggiare perché, anche nell’insuccesso momentaneo, il bene rimane e può
manifestarsi nei tempi e nei modi che il Signore vorrà. Orientare i figli al
bene significa aiutarli a diventare persone buone, corrette ed oneste, guidati
dalla coscienza, che è la voce di Dio nel cuore dell’uomo, nel praticare la
giustizia e l’amore ed a fare opera di discernimento fra il bene e il male.
I bambini crescono bene se
il contesto familiare è ricco di valori; il primo insegnamento è quindi
l’esempio. I nostri figli ci osservano e ci ascoltano sempre, con grande
attenzione, fin dai primi anni di vita, ed è perciò, attraverso il nostro amore
di coppia, che possiamo alimentare la fiducia nel matrimonio e nella famiglia.
Succede, alle volte, che
siano i nostri figli a costringerci a scuotere la polvere di dosso ed a uscire
dalla mediocrità in cui ci siamo adagiati, stimolandoci con domande e
riflessioni alle quali siamo in dovere di rispondere, anche con una buona dose
di umiltà, ritrovando insieme il vero senso della vita che Dio ci ha donato.
Parlare ai figli di Dio è un compito fondamentale dei genitori, partendo dalle
bellezze del creato, per arrivare al loro cuore. La scoperta di Dio dentro di
sé e l’apertura della porta ad un amico fedele che non li abbandonerà mai, è
quanto di più bello possano regalare i genitori ai loro figli.
Nel cammino di fede non
dobbiamo nascondere ai nostri figli che la via del bene, come ci ha insegnato
Gesù stesso, a prima vista sembra la più difficile, perché è stretta ed in
salita e richiede un po’ di sacrificio, ma in compenso è l’unica via che fa di
noi delle persone buone e giuste e ci fa sentire tanta gioia e pace nel cuore.
Per questo vale la pena
metterci in gioco, tutti insieme, Chiesa, genitori e figli, ricordando sempre
il detto latino: “Le parole insegnano, gli esempi trascinano”.
La pastorale familiare ha
un compito importante: quello di costruire nelle parrocchie una comunità di
adulti. Senza le
coppie adulte e giovani che si radunano e che si "vedono" presenti in
quanto famiglie, la parrocchia si configura come un insieme di servizi erogati
da un gruppo di persone.
quasi una stazione di
servizio da autostrada, un aggregato da cui non nasce appartenenza e senso di
familiarità.
Non sarà facile, ci vorrà
tanta buona volontà e pazienza, costanza e fiducia: le parrocchie sono chiamate
in prima linea a lavorare sodo coinvolgendo le famiglie, gli operatori di
catechesi. Al bando lo scoraggiamento, c’è una Chiesa da ringiovanire, renderla
più presente e attiva in un mondo che vediamo sempre meno cristiano e poco
presente”.
Cosa fare allora, da dove incominciare?
Dare una risposta non è facile, non c’è una
soluzione valida per tutti. In molte parrocchie dove si è tentato un approccio
con le famiglie la delusione è stata grande a causa della quasi totale assenza
dei genitori. Alla delusione è seguito lo scoraggiamento e il” lasciamo
perdere”.
Se proviamo a dar un metodo, possiamo al
giorno d’oggi dare soltanto una regola: pazienza e costanza.
Con umiltà dobbiamo ammettere come Chiesa che
si è perso molto tempo, sono state trascurate le persone, è prevalso un certo
autoritarismo, una volontà del potere e una sottomissione dei fedeli senza
diritto di parola; l’entusiasmo del Concilio Ecumenico Vaticano secondo è
durato molto poco.
E’ difficile oggi superare secoli di lassismo
nella pastorale ma non impossibile: ci vuole sempre qualcuno che rompa il
ghiaccio, che incominci con tutta serietà e abnegazione. Forse non vedremo i
frutti nell’immediato, ma saremo i pionieri del Signore in quest’opera di
rinascita della Chiesa.
Dobbiamo capire assieme ai nostri collaboratori, colleghi, e genitori
che
“L’istituzione familiare mantiene la sua responsabilità primaria
per l’educazione e la trasmissione dei valori e della fede. Se è vero che la
famiglia non è la sola educatrice, soprattutto quando si tratta di figli
adolescenti, e che non esistono genitori perfetti, dobbiamo dire anche con
chiarezza che c’è un’impronta che solo la famiglia può dare e che rimane nel
tempo, pur attraverso fasi di latenza e crisi ambientali.
Per questo, occorre impegnarsi a sostenere il ruolo ed il
compito dei genitori come educatori in tutti gli ambiti, compreso quello
spirituale e cristiano. In forza del diritto naturale e dell’impegno assunto
nel Battesimo dei loro figli, essi sono, infatti, i primi ed indispensabili
educatori alla fede e alla vita cristiana” (Ed. alla vita buona del vangelo,
8).
Convinciamo i
genitori a lavorare assieme a noi per
• seguire con continuità il cammino dei figli, partecipando
alle diverse fasi del loro percorso catechistico;
• non ritirarsi ai margini affidando e delegando tutto alle
catechiste e al parroco;
• ritagliarsi, in famiglia, alcuni momenti nei quali
riprendere e far diventare «vita di ogni giorno» i contenuti che i bambini
apprendono a catechismo;
• partecipare ad alcune iniziative e incontri in parrocchia
per diventare capaci di «accompagnare» i figli nel cammino di fede;
• inserirsi nella vita della comunità parrocchiale,
specialmente partecipando con i figli alla Messa domenicale;
• creare, all'interno della famiglia, un clima nel quale la
fede si respira e si vive.
Oggi fino a
che punto possiamo dire che i genitori sono ancora capaci di trasmettere la
loro fede ai figli?
“ Oggi, molti genitori vivono un senso di impotenza
educativa; hanno l’impressione di non riuscire a comunicare e che altri
soggetti abbiano mezzi più potenti e un’efficacia superiore; sentono di non
saper più dire dei no con l’autorevolezza necessaria; fanno fatica a proporre
con passione ragioni profonde per vivere. La fragilità della famiglia non
deriva solo da motivi interni alla vita della coppia e al rapporto tra genitori
e figli. Molto più pesanti e condizionanti sono i motivi esterni: conciliare
l’impegno lavorativo con la vita familiare, costruire rapporti sereni in
condizioni abitative e urbanistiche sfavorevoli, gestire il problema degli
anziani malati e fragili. A ciò si aggiunga il numero crescente delle
convivenze di fatto, delle separazioni coniugali e dei divorzi, come pure le
difficoltà di un quadro economico, fiscale e sociale che disincentiva le nuove
maternità” ( Ed.alla vita buona del vangelo, 8).
Inoltre tutti questi fattori sono serviti all’allontanamento
da parte di molti genitori dalle pratiche religiose e di conseguenza da una
seria e convinta coscienza religiosa.
“La chiesa deve aiutare le famiglie a diventare come “chiese
domestiche” attraverso specifici itinerari di spiritualità. Le famiglie
cristiane debbono, a loro volta aiutare la parrocchia a diventare “famiglie di
famiglie” (ibidem).
Educare alla vita buona del vangelo deve diventare un
crescere insieme e far crescere insieme la nostra piccola chiesa locale, la
parrocchia, che unita alle altre parrocchie sotto la guida del Vescovo collabora
alla crescita della Chiesa universale.
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