Propongo un articolo di Anna Maria Bastianini, in cui si
parla del rapporto da tenere con i ragazzi in modo che la loro crescita vada
affiancata alla scoperta degli altri: i ragazzi devono crescere insieme, i
genitori e il catechista facendosi uno di loro crescono insieme, dando
testimonianza della propria vita umana e cristiana.
Da “I RAGAZZI CRESCONO INSIEME A NOI”
di Anna Maria
Bastianini ( ELLEDICI)
Lo abbiamo sperimentato tante volte: la tecnica, il programma,
le attività, i contenuti da soli non bastano a garantire il successo di
un’iniziativa, né la costante presenza e partecipazione dei bambini. È
l’incontro con la persona dell’educatore a dare ai bambini la possibilità di
crescere essi stessi come persona. Proviamo a soffermarci su questa
affermazione per capirla meglio, esplicitandone alcuni aspetti.
I ragazzi ci osservano
Ce lo dicevano già i nostri nonni: per i ragazzi è l’esempio
che conta, non tanto ciò che si predica o ciò che si ordina. La saggezza
popolare richiama una caratteristica importante del crescere umano che avviene
attraverso l’identificazione con l’altro, cioè assimilando e interiorizzando
atteggiamenti, modi di pensare e di fare, propri degli adulti che sono
significativi per ognuno di noi. È per questo che non possiamo illuderci che i
nostri bambini e i nostri ragazzi risolvano problemi che non abbiamo risolto
noi o vivano con serietà l’esperienza della costruzione di sé, dell’incontro
con gli altri, del rapporto con Dio se noi stessi non siamo appassionatamente e
continuamente all’opera in questa direzione.
"Parlarsi" è più importante del "fare"
Nei confronti dei ragazzi non conta solo un fare pensato per
loro e per ognuno di loro (attività, programmi, contenuti, ecc), ma soprattutto
una permanente disponibilità a parlarsi, a pensare insieme ai ragazzi
riflettendo sul senso delle situazioni, delle cose che si fanno, a fare
richieste coerenti con i valori in cui crediamo e che stiamo cercando di
trasmettere loro. "È stato importante per noi, fin dal primo
momento", dice un’animatrice con molti anni di esperienza, "l’impegno
a costruire insieme le regole del gruppo, esplicitandone e discutendone con
loro il significato. E poi fermarsi a chiarire, a riflettere con ognuno di loro
ogniqualvolta emergevano delle difficoltà. Così pian piano si costruisce un
gruppo, in cui ci si vuole davvero bene, non perché va sempre tutto bene, ma
perché si diventa capaci di affrontare le difficoltà e i contrasti e di
aiutarsi in questo vicendevolmente".
Stimolare le personalità dei ragazzi
In un tempo in cui tutti siamo saturi di cose da fare,
prigionieri dei ritmi invivibili della vita di ogni giorno, è importante non
dimenticare che è compito di ogni adulto che abbia responsabilità educative il
sostenere nei bambini e nei ragazzi la capacità di pensare. Il pensare
garantisce il riconoscimento di emozioni, bisogni e desideri - quelli personali
e quelli degli altri - che permettano di "stare bene con se stessi e stare
bene con gli altri" (Adler). Può essere più scomodo, ma è certo più
affascinante avere a che fare con tante personcine pensanti, perché in grado di
esercitare un pensiero critico, a volte provocatorio. La disponibilità a
mettersi in discussione conduce a essere noi stessi pensanti, capaci di
mantenere vivo e funzionante un nostro laboratorio interno. I bambini non
pretendono che sia in ordine perfetto. Anzi. Ci chiedono soltanto che sia
sempre aperto, pronto ad accogliere emozioni, sofferenze, gioie, problemi e a
riformularli per loro e insieme a loro.
E se loro non sembrano capire e reagire?
Diceva una mamma delusa dal comportamento
"egoistico" dei suoi bambini: "Io e mio marito siamo
permanentemente al loro servizio, sono loro al primo posto per noi, facciamo
ogni cosa con l’intenzione che vada bene per loro… Ma loro non imparano a fare
altrettanto. Si fanno servire, ma mai che uno si alzi spontaneamente a togliere
un piatto da tavola e per farsi aiutare bisogna reggere lamentele, sbuffi… e
poi sembrano cose fatte tanto per farle. Eppure ci vedono tutti i giorni
cercare di fare le cose bene per loro".
È facile oggi essere portati a pensare, come questa mamma,
che sia sufficiente voler bene ai bambini perché essi stessi imparino a volere
bene. "È un bimbo molto amato, saprà amare", si dice. È vero: l’aver
sperimentato rapporti affettivi con figure adulte che garantiscono cura,
calore, sicurezza, è condizione di base per la crescita psicologica.
L’evolversi di questi rapporti è tuttavia decisivo per la maturazione
affettiva: la capacità innata a riconoscere l’altro e a entrare in relazione,
maturando il piacere della reciprocità e dello scambio in tutte le età della
vita, non si sviluppa se non è coltivata e salvaguardata nella relazione con
gli adulti prima in famiglia e poi fuori.
Fargli scoprire l’altro
Mentre si struttura l’identità - "io sono io" - si
dovrebbe costruire al contempo il riconoscimento dell’altro che permette di
conquistarsi quel "non ci sono solo io" che diventa interesse e
curiosità per l’altro riconosciuto diverso da sé, attenzione ad affermare il
proprio "territorio" sperimentando la possibilità di regolare i
rapporti con gli altri attraverso un sano utilizzo dell’aggressività, senza
invadere o essere invasi; il piacere di condividere, di collaborare, di muoversi
nel mondo, liberati dalla continua attenzione a se stessi, a "essere i
migliori", "i più intelligenti", imparando a esserci,
semplicemente, nel confronto con la realtà e con gli altri.
Tocca all’adulto creare le condizioni
Tocca all’adulto favorire e sostenere la graduale capacità
di "decentramento" del bambino, cioè la possibilità di riconoscere
punti di vista, emozioni, opinioni, modi di fare esperienza, esigenze che sono
diverse dai propri. È ancora l’adulto tenuto a garantire, attraverso le regole
condivise, condizioni di confronto e di collaborazione in cui ognuno trovi il
suo spazio in armonia con quello degli altri al di là di una logica meramente
competitiva.
Sotto questo profilo non solo le regole sono importanti, ma
anche la capacità di fare ai bambini richieste e proposte che sono importanti
per abituarli a interrompere ogni tanto l’attenzione su di sé, sui propri
pensieri, bisogni ed emozioni per dare un contributo alle esigenze della
comunità, sperimentando il proprio valore, non perché è "il più
bravo", ma perché anche lui, nel suo ruolo di bambino, può "essere
utile".
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