RELAZIONARE NELLA PARROCCHIA
Cristiani si diventa, non si
nasce.
Cercare un itinerario
condiviso in cui “educatori ed educandi” intrecciano un’esperienza umana e
spirituale profonda e coinvolgente
In ogni parrocchia ci sono delle persone volenterose che
prestano la loro opera e si mettono al servizio delle necessità della comunità
cristiana.
Possiamo descrivere chi sono queste persone, o meglio
elencare i gruppi di cui fanno parte:
- Consiglio pastorale: laici che affiancano il parroco nella
preparazione delle attività parrocchiali;
- Catechisti: operatori di catechesi (catechismo) che di
solito si dedicano all’insegnamento delle prime verità cristiane, rivolto a
bambini e ragazzi. Questo per prepararli a ricevere i sacramenti, prima
comunione e cresima.
- Gruppi vari: azione cattolica, gruppi sposi, gruppo
biblico, scouts, caritas, ministri dell’eucaristia, gruppo liturgico, gruppo
del decoro della chiesa , redazione del giornalino parrocchiale etc.
Le domande che ci facciamo
sono:
Come relazionano, se lo fanno, tra di loro tutte queste
persone o gruppi?
C’è qualcosa che li unisce, che fanno insieme, per esempio
pregano ogni tanto insieme? Mettono in comune le loro esperienze onde
migliorare il loro lavoro? Come incidono nella vita parrocchiale, sono capaci
di entusiasmare gli altri , attirarli ad una migliore partecipazione e scelta
di vita? Sono capaci di stare insieme e fare festa? Credono di essere arrivati
e di non avere bisogno di ulteriore formazione? Partendo dal presupposto che un
cristiano veramente tale è formato non quando ha imparato una certa quantità di
contenuti di fede, ma quando ha assimilato le verità cristiane; una volta fatto
ciò le trasforma in convinzioni radicate a livello personale e in atteggiamenti
di vita coerenti e adeguati, in modo da essere un testimone del Maestro Gesù.
Se questo è il presupposto per ogni cristiano, con maggior
ragione lo deve essere per tutti coloro che hanno ricevuto una chiamata
speciale dal Signore: essere operai della sua vigna, operai che aiutano in un
modo o in un altro i fratelli.
“Cristiani si diventa, non si nasce. Questo notissimo detto
di Tertulliano sottolinea la necessità della dimensione propriamente educativa
(formazione) della vita cristiana. Si tratta di un itinerario condiviso, in cui
educatori ed educandi intrecciano un’esperienza umana e spirituale profonda e
coinvolgente”. ( Educare alla vita buona del Vangelo, 25)
La chiamata speciale ricevuta non ci mette al disopra degli
altri, ma ci fa fratelli che danno una
mano ai fratelli minori che devono ancora fare una scelta libera di vita
cristiana, ovvero fatta la loro scelta vogliamo che camminino insieme a noi.
Ecco allora che possiamo parlare di formazione cristiana
seguendo l’esempio datoci da Gesù con la sua vita, azioni e parole quando per
le vie della Palestina andava incontro alla sua gente. E da questo nessuno
pensi di esentarsi perché siamo stati chiamati a generare assieme al Parroco
figli di Dio, e perché chiamati diventiamo responsabili della missione ricevuta: “A chiunque fu dato
molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà chiesto molto di più”
(Lc 12,48).
In questa formazione tutti sono impegnati, dal parroco
all’ultimo chiamato, in una stretta relazione di collaborazione e comunione.
Da questo punto di vista nella parrocchia, proprio perché
“casa di tutti”, il parroco che è il responsabile principale, non può pensare
di proporre una formazione standard che vada bene per tutti, né può
accontentarsi di una formazione approssimativa, fonte di un cristianesimo
qualunquista, ma in base ai compiti e alla preparazione di ognuno va curata una
catechesi appropriata, in modo che tutti possano essere preparati per la
missione ricevuta.
Anche i parroci rivedano la loro formazione pastorale in
modo da essere “buon pastore” delle loro pecorelle..
Deve esistere la convinzione della bontà di questa
formazione, desiderarla, sollecitarla a tutti i livelli, comunitario e
personale: è il primo modo di relazionare e imparare a relazionarsi con i
propri compagni di viaggio, nella riscoperta della propria fede, la
spiritualità, il proprio contesto umano e professionale.
La maturità cristiana si può misurare secondo tre indicatori
che devono essere compresenti:
1) la capacità di costruire e mantenere un forte legame con
il Signore nella preghiera e nei sacramenti;
2) la capacità di amare se stesso e il prossimo;
3) la capacità di compiere scelte di vita definitive.
Ogni gruppo parrocchiale ha dei compiti da portare avanti:
la formazione deve avere due finalità, se stessi e la parrocchia, parrocchia
intesa qui come tutto il resto dei fedeli che devono venire a conoscenza
dell’esistenza dei gruppi e di quello che fanno.
Per esempio un gruppo che si dedica all’approfondimento
della bibbia farà partecipe la comunità di ciò che fa trasmettendo le proprie
conquiste di conoscenza e di fede, magari con un volantino o organizzando dei
forum parrocchiali, collaborando col gruppo liturgico.
I catechisti ai quali sono stati affidati dei bambini, dei
ragazzi devono coinvolgere i genitori, assieme al parroco, mettendoli al
corrente dei progressi dei ragazzi e organizzando dei momenti di formazione per
loro, momenti di festa per conoscersi meglio e stare allegri nel Signore,
collaborare con il gruppo biblico e con quello che si occupa della liturgia.
In sostanza ogni gruppo deve essere conosciuto dai
parrocchiani e deve farsi conoscere per quello che fa con lo scopo di fare
comunione e in questa dare stimoli di
entusiasmo, di crescita e magari di partecipazione e collaborazione.
Ogni gruppo non sia isolato nel suo lavoro: il mettere
insieme con tutti gli altri la loro esperienza di fede in giornate di
fraternità, che non siano soltanto giornate di riflessione e di preghiera ma
anche di festa, aiutano ad aumentare la fratellanza, l’amicizia e la
convivialità.
Spetterebbe al consiglio pastorale promuovere delle giornate
di festa aperte a tutta la comunità parrocchiale (due o tre volte l’anno), giornate in cui si
fa festa, si mette al corrente la comunità dei programmi pastorali ,e si coglie
l’occasione per un incontro di formazione e di preghiera. Celebrare una volta
l’anno l’anniversario dei matrimoni come festa della famiglia.
Gli altri al vederci, come per i primi cristiani, possano
esclamare: come si amano, come è bello stare insieme”
Catechesi come formazione di ogni collaboratore, chiamato
dal Signore, in funzione di incontri con i fratelli della Parrocchia, vicini e
lontani. Incontri in cui bisogna avere tanta capacità di ascolto per conoscere
l’altro, occhi per vedere e studiare situazioni che normalmente ci sfuggono.
Come Gesù con la folla che lo seguiva:
“La folla segue Gesù mossa dalla speranza di ricevere
qualcosa di decisivo. Pur provenendo da città e situazioni diverse, appare
animata da un desiderio comune.
Gesù stesso si fa interprete delle attese profonde dei
presenti. Lo sguardo che rivolge loro non è distaccato, ma partecipe, perché
non scorge una folla anonima, bensì persone, di cui coglie il bisogno
inespresso.
Gesù vede in loro «pecore che non hanno pastore»: è una
metafora che rivela la situazione di un popolo che soffre per la mancanza di
una guida autorevole o è disorientato da maestri inaffidabili.
Lo smarrimento della folla suscita in Gesù una
“compassione”, che non è un’emozione superficiale,
ma è lo stesso sentire con cui Dio, nella vicenda
dell’esodo, ha ascoltato il gemito del suo popolo
e se ne è preso cura con vigore e tenerezza.
Il bisogno delle persone interpella costantemente Gesù,
che risponde ogni volta manifestando l’amore compassionevole
del Padre” (Educare alla vita buona del Vangelo cap.2.17).
Come Gesù quando insegnava con l’autorevolezza che viene dal
Padre, dobbiamo proporre ciò che lui ci ha insegnato, essere testimoni della
Parola come Gesù lo fu e continua ad esserlo del Padre:
La prima azione di Gesù è l’insegnamento: «si mise a
insegnare loro molte cose».
“Gesù è cosciente di essere anzitutto il Maestro: per
questo, con l’autorevolezza che viene dal Padre, comincia con l’indicare le vie
della vita autentica. Egli rivela il mondo nuovo voluto da Dio e chiama a
esserne parte, sollecitando ciascuno a cooperare alla sua edificazione nella
pace. Il popolo che egli pasce è invitato ad ascoltare la sua parola, che
conduce e fa riposare su pascoli erbosi (cfr Sal 23,2).
Gesù non smetterà di insegnare, parlando al cuore, neppure
di fronte all’incomprensione della folla e dei suoi stessi discepoli”. (Educare
alla vita buona del Vangelo cap.2.18)
Educare, convivere, stare,
crescere insieme in un mondo che cambia
Il documento CEI parla di “opera educativa” in un mondo che
cambia: conosciamo questo mondo che cambia? Conoscere, ricordiamo che significa
entrare nell’anima dell’altro: non è la nostra intelligenza che ci fa conoscere
l’altro ma il nostro cuore che ci farà ascoltare e parlare con intelligenza.

«Bisogna, infatti, conoscere e comprendere il mondo in cui
viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso
drammatico», che ci ha ricordato il Concilio Vaticano II, indicando pure il
metodo: «Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di
scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che,
in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni
interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro
relazioni reciproche». Tutto il popolo
di Dio, dunque, con l’aiuto dello Spirito, ha il compito di esaminare ogni cosa
e di tenere ciò che è buono (cfr 1Ts 5,21), riconoscendo i segni e i tempi
dell’azione creatrice dello Spirito. Compiendo tale discernimento, la Chiesa si pone accanto a
ogni uomo, condividendone gioie e speranze, tristezze e angosce e diventando
così solidale con la storia del genere umano”. (Educare alla vita buona del
Vangelo cap.1.7)
Si parla di “educare”, ma in realtà, come si è detto altrove
in questo lavoro, si tratta di riuscire a viaggiare insieme, dare e ricevere
amicizia per incontrare il Maestro,bando all’individualismo sia del singolo che
del gruppo.
Si cercherà di relazionare, ogni gruppo nel suo ramo e tutti
con la comunità parrocchiale in un programma che abbracci ogni età e
situazione.
Relazionare infine, vuol dire essere comunità, piccola
comunità nella comunità più grande, la Chiesa.
Per concludere ancora una paginetta che riporto dal
libro “Spiritualità di comunione”, a cura di Juan Battista Cappellaro: “Perché
ci sia una comunità non è necessario che tutte le persone siano mature. Ne è un
esempio la famiglia.
- Una comunità è matura quando:
ha integrato tutti i suoi membri, cioè ognuno ha e sa di
avere il suo posto, il suo ruolo organico, senza sentirsi frustrato, ma anzi
completato, potenziato dal ruolo altrui, come membra in un corpo anziché rivali
(il “noi”). E ciascuno si fa responsabile dell’insieme, conscio del fine che si
vuole raggiungere; è capace di assimilare nuovi membri sa assumere la realtà:
accetta i membri quali sono, rispetta le differenze, i tempi e i ritmi di
maturazione,ecc. Ha pertanto il senso della storicità; sopporta gli insuccessi,
reagendo positivamente, e resiste alle tensioni senza dividersi; è consapevole
dei suoi limiti ed è perciò continuamente impegnata nella propria conversione
attraverso l’autocritica, la revisione e la correzione fraterna.
- Una comunità è matura nella misura:
dell’oblatività dei suoi membri, che raggiunge il punto più
elevato quando questi sanno mettere autenticamente insieme il loro destino;
dell’apertura agli altri; dell’oblatività e della
ricettività, che confluiscono nella capacità di generare nuove comunità”.
- Infine si raccomanda il dialogo,
frutto di tutti i processi nella pastorale perché:
“ fa crescere armonicamente i membri della comunità;
permette la mutua conoscenza, frutto dell’amore;
accresce la fiducia reciproca, elemento fondamentale della
vita comunitaria;
socializza e rende creativi, è cioè fonte di progresso e di
costruzione;
orienta le tensioni, che sono normali in una comunità;
favorisce il superamento dei complessi personali e
comunitari (timidezza, aggressività, autosufficienza) e dei contrasti.
Il dialogo stesso ha
raggiunto la sua maturità quando il dare e il ricevere toccano quella
profondità dove l’uno e l’altro si confondono, divenendo mutua partecipazione,
cioè quando ciò che è mio è tuo; ciò che tuo è mio”(idem).