"Non ci sono più cristiani a Mosul"
Uccisi, depredati o, nel
migliore dei casi, cacciati da una città che abitavano da (almeno) 1.400 anni:
è il destino dei cristiani di Mosul, la seconda città dell'Iraq, travolta
dall'offensiva dei terroristi dell'Isis (Stato islamico dell'Iraq e del
Levante), il gruppo islamico radicale che - nato e cresciuto in Siria grazie all'incancrenirsi
della guerra civile e all'inerzia dell'Occidente - nelle ultime settimane sta
conquistando porzioni crescenti dell'antica Mesopotamia. Prendendo di mira, è
bene ricordarlo, non solo i cristiani ma tutte le minoranze, a partire dai
musulmani sciiti.
Con un'azione che ricorda i
peggiori pogrom della storia, i terroristi dell'Isis e le milizie sunnite che
danno loro man forte hanno addirittura segnato le case dei cristiani di Mosul
con il corrispettivo arabo della lettera N, iniziale di Nazareni, il nome con
cui i seguaci di Gesù sono chiamati spesso nel mondo musulmano arabo. Ai
tremila che avevano resistito durante gli anni, già molto difficili, della
guerra civile post-Saddam, è stato intimato di andarsene. Non pochi,
naturalmente, quelli che sono stati sommariamente uccisi o sono spariti nel
nulla. Distrutti o danneggiati anche molti edifici, tra cui il palazzo
episcopale dei siro-cattolici e l'antico monastero di Mar Behnam, da cui i
monaci sono stati brutalmente cacciati (così come molte sono state anche le
moschee sciite distrutte).
«Ormai nessun cristiano si
trova più a Mosul - ha dichiarato lunedì a Radio Vaticana mons. Saad Syroub,
vescovo ausiliare caldeo di Baghdad -. Le famiglie fuggite sono in una
situazione molto difficile, perché non hanno niente: sono state derubate della
loro macchina, dei soldi, della casa, del lavoro. E non possono tornare. Quindi
la situazione è molto critica; c’è bisogno di un intervento urgente per aiutare
queste famiglie».
Proprio sulla necessità di un
aiuto concreto e immediato insiste un testo firmato da tutti i vescovi iracheni
(che rappresentano il mosaico di confessioni cristiane presenti nel Paese) e
diffuso martedì scorso. Con una nemmeno troppo implicita condanna della
latitanza delle istituzioni di Baghdad e dell'Occidente, i vescovi scrivono:
«Attendiamo azioni concrete per rassicurare il nostro popolo, e non soltanto
comunicati stampa di denuncia e di condanna: sostegno finanziario agli sfollati
che hanno perduto tutto, pagare immediatamente i salari dei dipendenti statali,
indennizzare tutti coloro che hanno subito perdite materiali e assicurare
alloggio e continuità nella erogazione dei servizi sociali e scolastici per le
famiglie che potrebbero dover trascorrere lungo tempo lontano dalle proprie
case».
Se in questo momento
prevalgono le necessità materiali resta, sullo sfondo, la preoccupazione per il
destino che attende i cristiani nel lungo periodo, in Iraq così come in molti
altri Paesi del Medio Oriente.
Dal 2003, anno dell'invasione decisa da George W. Bush,
il numero dei cristiani iracheni è sceso da quasi un milione e mezzo a circa
450mila. A Mosul erano 130mila nel 2003, erano già scesi a 10mila un anno fa e
ora sono praticamente azzerati. Trend analoghi si registrano in altri Paesi
della regione, anzitutto in Siria.
È anche vero che questi tragici fatti sembrano avere
attivato, più che in passato, la solidarietà dei musulmani iracheni
nei confronti dei loro concittadini. Come fa notare in un'intervista lo
scrittore iracheno Younis Tawfik, da anni esiliato in Italia, «i cristiani
iracheni di Mossul hanno più diritto di noi alla loro terra e alle loro case.
Abitano la città da prima dell’arrivo dell'islam e noi abbiamo il dovere di
proteggerli». A Baghdad domenica scorsa circa duecento musulmani si sono
riuniti davanti alla chiesa caldea di San Giorgio per esprimere la propria
solidarietà ai cristiani. Molti innalzavano cartelli con la frase «kulluna
masihiyyun», siamo tutti cristiani, e con una “N” finale. Anche sui social
network si diffondono campagne di solidarietà.
Intanto anche il Papa non fa mancare la sua
voce e la sua vicinanza: martedì ha ricevuto il nunzio apostolico in Iraq,
mons. Giorgio Lingua, mentre domenica - durante l'Angelus - ha ricordato la
situazione dei cristiani: «La violenza si vince con la pace», ha detto con
parole che in questo momento sono drammaticamente attuali in molti luoghi del
mondo.
da http://www.popoli.info/
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