HOME PAGE PREGHIERE RACCONTI PENSIERI

venerdì 31 luglio 2015

Ancora un articolo sulla famiglia, sulla sua importanza e sua missione



Famiglia: realtà che conta

di Pino Pellegrino, in Bollettino Salesiano di luglio-agosto 2015



Gli anni passati in famiglia sono gli anni delle radici, gli anni che hanno il futuro in tasca.
Lo sapevate che il 50% dello sviluppo dell'intelligenza del bambino si verifica tra il concepimento ed i quattro anni di età circa il 30% tra i quattro e gli otto anni, il 20% tra gli otto ed i diciassette anni? Lo sapevate che il 33%delle parole vengono imparate tra la nascita e i sei anni, il 22% tra i sei e i tredici, il 25% tra i tredici e i diciassette? Lo sapevate che sui 2-3 anni il bambino costruisce (in base a ciò che dicono di lui il padre e la madre) la prima immagine del proprio io che non è una fotografia e basta, ma un condizionamento ad agire che porterà sempre con sé? L'autostima, una delle principali forze della crescita, parte dall'infanzia.

Ecco: basta il poco detto per farci intuire che gli anni passati in famiglia sono gli anni delle radici, gli anni che hanno il futuro in tasca! In Persia dicono: “Se hai piantato un cardo, non aspettarti che nasca un gelsomino”. In Svezia dicono: “Ciò che Pierino non impara, Pietro non lo imparerà mai!”.
Noi diciamo: la vita è come una lunga addizione. Nell'addizione basta sbagliare la somma dei primi numeri per continuare a sbagliare fino alla fine!

Gli anni della valigetta invisibile
È chiaro perché la famiglia è realtà che conta, tanto quanto contano i primi anni passati in famiglia.
In essi, si struttura la base della nostra vita psichica in tutti i suoi aspetti: da quello intellettivo, come abbiamo detto, a quello comunicativo, a quello dell'identità personale, non solo ma anche (e soprattutto!) a quello affettivo. Nell'infanzia (nella famiglia!) si forma la valigetta invisibile che farà sempre sentire la sua influenza.

In quella valigetta vi è di tutto: cose belle e buone, cose cattive e dannose.
Vi sono i sorrisi dei genitori, le coccole dei nonni, vi è il ricordo della pizza mangiata con la mamma ed il papà, vi è la festa dell'onomastico o del compleanno, vi è il bel tempo o il cattivo tempo in famiglia; vi sono i castighi, le urla, le nostre ripicche.
Ecco la valigetta invisibile con i suoi tesori e le sue zavorre, con le sue perle e i suoi sassi.
Ecco la famosa valigetta che, anche volendo, non si perde mai, perché l'infanzia la si porta con sé per tutta la vita.
Aveva ragione Sigmund Freud (1856-1939), il padre della psicanalisi, a dire che “Il bambino è il padre dell'uomo”.
Ebbene, se il bambino è il padre, la famiglia è la madre. Ciò spiega perché la latitanza del grembo familiare ha conseguenze devastanti. Vi sono bambini che entrano nella Scuola dell'Infanzia già con il piede sbagliato. Dunque - lo diciamo di passaggio - accusare la scuola, incolpare gli insegnanti, non è sempre onesto, se ha ragione lo psichiatra Paolo Crepet (1951): «I nostri ultimi studi dicono che un bambino su quattro soffre di un forte disagio psicologico, con fenomeni che vanno dalla depressione all'anoressia, dall'autolesionismo all'aggressione. All'origine del malessere c'è la famiglia spezzata!».

La latitanza del grembo familiare ha le stesse pesanti conseguenze su tutto il pianeta: è la prova che più ne dimostra la sua importanza. Negli Stati Uniti, ad esempio, è allarme rosso. Ragazzini di 10, 11 anni vanno in giro per strada sparando e ammazzando ragazzi di bande rivali. L'America è sconvolta. Il numero degli omicidi commessi da minori è aumentato, negli ultimi anni, dell'85% .
Questo perché, secondo i competenti, non vi è più una vera famiglia: 27 bambini su 100, sotto i tre anni, abitano con un solo genitore.

Anche in Inghilterra si pensa che la causa del disordine sociale sia lo sbandamento della famiglia.
«Se la delinquenza minorile è il più grande problema politico dell'Inghilterra - si è detto apertamente in una seduta del Parlamento - è perché il numero delle famiglie spaccate qui è otto volte maggiore che in Italia».
Ancora una volta abbiamo la conferma della validità di ciò che stiamo sostenendo: la famiglia è realtà che conta. Difenderla, aiutarla, sostenerla è mettere le premesse per un mondo meno infelice. È la qualità dei frammenti che fa la qualità del tutto. La famiglia è un frammento di mondo che ne guida il destino.

LA FAMIGLIA SI ACCENDE IN CUCINA
In cucina si sente il profumo della minestra, il tintinnio delle pentole, lo sfrigolio dell'olio in padella, il tremolio del frigorifero. In cucina vi è il sapore della vita, in cucina si parla, si scherza, si ride, si brontola... In cucina ci si educa l'un l'altro senza pensare di educare. In cucina si sente il tepore della famiglia. In cucina si pratica l'arte di rendere felici gli altri con buoni piatti. Stupendo! Sì, perché si può dire 'amore' anche ai fornelli. La tavola apparecchiata con gusto, un piatto fatto con amore rafforzano il matrimonio e rafforzano la famiglia. Una casa senza cucina è come un alveare senza ape regina.

IL DECALOGO DEL GENITORE
Primo: non urlare (salvo una volta alla settimana).
Secondo: non strafare (la mamma troppo valente fa la figlia buona a niente).
Terzo: ricordati di amare (la nostra influenza arriva fin dove arriva il nostro amore).
Quarto: fa' il bene prima di parlarne (nell'educazione sono vietate le recite).
Quinto: impara a parlare (le armi possono vincere, le parole convincere).
Sesto: ricordati di essere ciò che vuoi trasmettere (la parola è suono, l'esempio è tuono).
Settimo: non desiderare d'esser perfetto (l'acqua troppo chiara non ha ranocchi; zoccolo troppo levigato scivola sul bagnato; anche le scimmie cadono dagli alberi).
Ottavo: non dimenticare di pregare (a pregare non si sbaglia mai).
Nono: non perdere il sorriso (i genitori che non si divertono ad educare hanno sbagliato mestiere).
Decimo: non desiderare un figlio diverso da quello che hai. Abbi rispetto per quello che è.

RIDERE IN FAMIGLIA

Matrimonio e personalità
Il figlio domanda al papà:
“Papà è vero che il matrimonio modifica la personalità?”.
“Certo, figliolo! Prima di sposarci io parlavo e lei ascoltava. Qualche tempo dopo il matrimonio, era lei che mi parlava ed io ascoltavo. Adesso parliamo tutti e due insieme e sono i nostri vicini che ci ascoltano”.

Piccolo Stato
Un padre si confida con il miglior amico:
“La mia famiglia è come un piccolo Stato. Mia moglie è il ministro degli Interni. Mia figlia è il ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni. Mio figlio è il ministro del Turismo. Mia suocera è il ministro della Guerra!”.
L'amico: “E tu sei il Presidente del Consiglio?”.
“Io? Io sono il povero contribuente!”.

Tesoro
Pierino: “Tu mamma mi chiami sempre 'Tesoro'. Quanto posso valere?”.
La mamma: “Milioni e milioni!”.
Pierino: “Allora potresti, per favore, anticiparmi cento euro?”.




venerdì 17 luglio 2015

Parliamo ancora della famiglia: la famiglia perchè?



Insomma, perché la famiglia?



Di PINO PELLEGRINO, da Bollettino salesiano giugno 2015


Parliamo di fatti provati in lungo e in largo da migliaia di psicologi i quali hanno accertato il bisogno innato di amore di ogni neonato umano. Bisogno che, per essere soddisfatto, deve avere questi caratteri: essere costante, personalizzato e totale.
Secondo noi, le ragioni di fondo che spiegano il perché della famiglia, intesa come nucleo di società umana formata da un uomo e da una donna che hanno intenzione di perdurare nella loro unione e di aver figli, le ragioni di fondo, dicevamo, sono due.

La prima è il fatto che l'uomo ha un innato bisogno di appartenenza.
 
Nessuno ama essere figlio di nessuno!
In altre parole, tutti nasciamo con il bisogno di una qualche paternità e maternità. 


Un bisogno innato e così naturale per cui al piccolo dell'uomo non interessa tanto (si noti!) chi lo mette al mondo; interessa chi si prende cura di lui!
Se i tre o quattro bambini che nascono mentre state leggendo questa riga potessero parlare, direbbero: “Non siamo pietre: non ci basta esistere. Non siamo piante: non ci basta respirare. Non siamo bestie: non ci basta mangiare. Siamo uomini: abbiamo bisogno che qualcuno ci guardi: bisogno d'essere fatti propri da qualcuno!”. 

Ecco: siamo così fatti, d'aver tutti bisogno di un secondo cuore. Chi lo trova, vive; chi non lo trova, muore. Non stiamo scrivendo sopra le righe. Stiamo parlando di fatti provati in lungo e in largo da mille psicologi i quali hanno accertato al cento per cento il bisogno innato di amore di ogni neonato umano.
Bisogno che per essere soddisfatto deve avere questi caratteri: essere costante, personalizzato e totale. 

Ebbene, solo un grembo familiare può dare al piccolo un amore con questi tre connotati. Ci spiace che lo spazio ci impedisca di provarlo nei dettagli (l'abbiamo fatto altrove).
Ma, pur nella brevità, desideriamo che si sappia che siamo proprio convinti di ciò che diciamo, cioè che la famiglia è l'istituzione ideale per soddisfare il bisogno di appartenenza, il bisogno naturale d'amore dell'essere umano con i tre connotati accennati. 

Qualora si trovasse un'istituzione che rispondesse meglio a tale necessità di fondo, saremmo i primi ad abbandonare la famiglia e ad abbracciare la nuova soluzione. Ma fino ad oggi non si è trovata! Né, siamo convinti, si troverà mai, a meno che non cambi l'identità dell'uomo!

La seconda ragione che spiega il perché della famiglia è il fatto che l'uomo, tra tutte le specie animali, è quello che nasce il più inetto. 
 
Potremmo dire che nasciamo, tutti, troppo presto; a differenza degli animali che nascono non inetti, ma atti!
Il piccolo della giraffa, ad esempio, riesce a stare dritto sulle proprie gambe appena venti minuti dalla nascita; lo stesso vale per i pulcini della gallina, per i piccoli dei passerotti, delle quaglie, subito pronti per la vita autonoma.

Il piccolo dell'uomo, invece, dopo la nascita ha bisogno di continuare a nascere.
Ciò può avvenire (è qui che scatta il ragionamento!) solo se vede qualcuno che già viva da uomo e gli faccia da modello. L'uomo cresce solo all'ombra di un altro uomo.
Anche questa è una legge naturale, come quella del secondo cuore. 

Non è il rapporto con le cose che ci fa crescere; neppure il rapporto con gli animali, ma solo il rapporto con altri uomini cresciuti.
In una parola: il bambino, per crescere, ha bisogno di incontrarsi, fin dalla nascita, con un uomo ed una donna 'adulti', nel senso proprio della parola (adulto, cioè cresciuto). 

Fin dalla nascita, abbiamo detto.
È abbondantemente provato, infatti, che sono i primissimi anni a guidare la vita intera.
È impossibile crescere uomini se non si è accolti amorevolmente, fin dalla nascita, da qualcuno che ci insegni i primi elementi della grammatica umana. 

Tiriamo la somma: il bisogno del grembo familiare è scritto nel nostro DNA sia per soddisfare il bisogno innato di appartenenza, sia per la necessità di imparare a vivere da umani.
A questo punto, le conseguenze corrono logiche.
La famiglia non sarà mai un residuo storico: non è un'istituzione dello Stato né della Chiesa, ma appartiene al diritto naturale. Ha ragione l'antropologa Margaret Mead (1901-1978): “Per quante 'comuni' (convivenze a più) si possano inventare, la famiglia torna sempre di soppiatto”.
Bersagliare la famiglia è sparare alla Croce Rossa! In questo caso dobbiamo concordare con Giuseppe Mazzini (1805-1872): “Non attentate alla famiglia: è un concetto di Dio, non nostro!”.

DITEMI SE NON È UN MARITO STUPENDO!
Una giovane donna tornava a casa dal lavoro, quando con il parafango andò ad urtare il paraurti di un'altra auto.
Si mise a piangere quando vide che era una macchina nuova, appena ritirata dal concessionario.
Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito?
Il conducente dell'altra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente ed i dati del libretto.
Quando la donna cercò i documenti in una grande busta marrone, cadde fuori un pezzo di carta.
In una decisa calligrafia maschile c'erano queste parole: “In caso di incidente, ricorda, tesoro, che io amo te, non la macchina!”.
Parole d'oro che riportarono la primavera nel cuore della donna!

DITEMI SE NON È UNA MOGLIE STUPENDA!
“Vi sono donne che dicono: “Mio marito può pescare, se desidera, ma i pesci li dovrà pulire lui!”.
Non io!
A qualunque ora della notte io mi alzo dal letto e lo aiuto a disporre, pulire e salare i pesci.
È così bello noi due soli in cucina, ogni tanto i nostri gomiti accanto. E lui dice cose del tipo: «Questo mi ha dato del filo da torcere. Luccicava come l'argento, quando balzò in aria...!». E mima il salto con la mano. Attraversa la cucina, come un profondo fiume, il silenzio del primo incontro.
Infine i pesci sono sul piatto, si va a dormire.
L'aria balugina d'argento: siamo marito e moglie”. (Adelia Prado)


martedì 7 aprile 2015

Non possiamo impegnarci in ciò che il nostro parroco ci chiede”.



Genitori: Che cosa vi chiede la vostra parrocchia quando presentate i vostri figli per il catechismo?



- Lettera del vescovo di Pinerolo ai genitori , educatori nel cammino dell’Iniziazione Cristiana dei figli
 Terza parte:
 
Come vedete non è possibile educare i figli nella fede senza un serio coinvolgimento dei genitori:
senza mamma e papà non c’è catechesi o, comunque, si tratta di una catechesi zoppa, perché
priva di una parte fondamentale. Non basta la comunità cristiana, occorre la famiglia. Tra
la parrocchia e la famiglia si deve stabilire un’autentica “alleanza educativa”.

Non so se è il vostro caso, ma ho già incontrato numerosi genitori a cui interessa solamente la data
della Prima Comunione e della Cresima. Trovano troppo pesante, forse perché non comprendono,
quello che il parroco propone loro, soprattutto il coinvolgimento nel cammino educativo dei figli.
Vengono anche da me a lamentarsi. Ciò che chiede il vostro parroco, anzi la Chiesa attraverso di lui, non è una pretesa arbitraria. Egli ha il dovere di aiutarvi a rendervi conto che, desiderando
ricevere i sacramenti, voi chiedete molto di più, domandate che i vostri figli siano introdotti
nella comunità cristiana ed entrino in un vero rapporto con Gesù Cristo.


Essi diventano membra del suo Corpo; sono come tralci uniti alla Vite; sono come pietre vive che formano un bell’edificio, di cui Lui è la pietra angolare.
Per questo voi siete chiamati a svolgere un ruolo primario nella educazione della fede dei vostri
figli; compito che non potete delegare né demandare ad altri. Chiedendo il Battesimo per i vostri
figli, vi siete impegnati a educarli cristianamente.

Forse qualcuno di voi mi dirà: “È difficile fare questo. Mi sono allontanato dalla Chiesa da parecchio tempo. Che cosa posso dire ai miei figli?”
Oppure: “L’orario di lavoro è stressante. Il tempo libero è poco. Non possiamo impegnarci in ciò che il nostro parroco ci chiede”.

Innanzitutto non dovete scoraggiarvi. L’esperienza mi dice che molti genitori hanno riscoperto
la fede facendo un cammino con i loro figli. Spesso pensavano alla Chiesa come ad una grande istituzione lontana dai problemi della gente. Ora si accorgono che è come una casa dalle porte sempre aperte per tutti. Hanno capito che la vita della parrocchia è fatta di vicinanza, condivisione, amicizia e solidarietà.

Spero sia così anche per voi. Nel momento in cui vi incontrate con il vostro parroco per “iscrivere” il vostro bambino a catechismo potete manifestare a lui le vostre difficoltà, anche quelle relative al vostro orario di lavoro. Con buona volontà si possono trovare soluzioni soddisfacenti.
Ciò che è importante è giungere a comprendere e rispettare il senso vero e profondo che è sotteso
alla richiesta del sacramento. Questo avviene se c’è un significativo impegno da parte vostra nell’aiutare il vostro bambino a fare esperienza di vita cristiana, mettendovi in gioco e accompagnandolo nella bella scoperta di essere discepolo e amico di Gesù
.

Diversi genitori, prima titubanti ma poi convinti della necessità di accompagnare il cammino di
fede dei loro figli, sono diventati entusiasti protagonisti di questo nuovo modo di fare catechismo, rendendosi sempre più presenti in parrocchia ed allacciando belle amicizie con altre famiglie, e vivendo poi con queste momenti di riflessione e di approfondimento.

La fede, come aria che si respira e pane che nutre

• I catechisti, insieme al parroco, si mettono al vostro fianco per condividere le vostre stesse speranze e difficoltà nel vivere la parola del Vangelo.
Vogliono soprattutto essere partecipi delle vostre attese perché sta loro a cuore la crescita umana e
cristiana dei vostri figli. Ma non dovete dimenticare che siete voi “i primi maestri della fede”.

Comprendete, dunque, che la catechesi rinnovata chiede non solo di partecipare ad alcune iniziative
organizzate dalla parrocchia; sarebbe già una bella cosa, ma certamente non sufficiente. La catechesi, lo abbiamo ormai imparato, non è solo comunicazione di nozioni, ma soprattutto esperienza di vita. Nessuno meglio di voi, mamma e papà, può dare ai vostri figli un’impronta che
rimane nel tempo. Essi sono come cera molle che può essere plasmata comunicando valori per educarli alla vita buona del Vangelo.

Se mi domandate: “Come si trasmette la fede?” Vi rispondo così: “Si respira in casa dal vostro modo di vivere e diventa nutrimento, come buon pane casareccio, attraverso i vostri esempi”. Un tempo bastava il catechismo fatto con periodiche lezioncine, oggi non è più così.
In tante famiglie la fede è come un vestito che si mette solo in alcune circostanze e poi si toglie e si
ripone nell’armadio. Non serve a nulla, né incide nella vita. Bisogna ritornare a far diventare la fede
– prendo a prestito due parole del Vangelo – luce che illumina e sale che da sapore. Son sicuro che
accompagnando i vostri figli nella scoperta di Gesù e della sua Parola gusterete anche voi con loro,
come se fosse la prima volta, la gioia di essere cristiani.

La vostra casa come una “piccola chiesa”

• Nella catechesi, i vostri figli imparano ad ascoltare la Parola di Dio perché la Bibbia è il “Libro”
per eccellenza, non è un sussidio. Si diventa Cristiani ascoltando e mettendo in pratica la Parola
contenuta in questo Libro. Ma è soprattutto in casa che i ragazzi possono vedere la Parola testimoniata nelle vostre quotidiane scelte di vita.

Giovanni Paolo II, che il 1° maggio sarà dichiarato beato, affermava che l’esempio offerto in famiglia precede, accompagna ed arricchisce ogni altra forma di catechesi. Sono parole forti ed impegnative.
Per questo, oggi, si sente molto l’esigenza di passare, soprattutto con i più piccoli, da una catechesi
gestita da “esperti” a una catechesi sviluppata dalla famiglia stessa.
È in casa con voi che i vostri bambini devono fare la prima esperienza di preghiera: il segno della
croce, le orazioni del mattino e della sera, il Padre Nostro, l’Ave Maria; vedere la presenza di qualche simbolo di fede, come il crocifisso, l’immagine della Vergine Maria e di qualche Santo...

Molto importante è il modo con cui voi vivete la domenica e le feste cristiane. È un tempo reso
gioioso dall’incontro con il Signore nella celebrazione della Messa e dallo stare insieme tra di voi,
con i vostri anziani e i vicini, andando a visitare qualche persona malata, impegnandovi in qualche
gesto di solidarietà. In questo contesto diventa facile e credibile avviare i piccoli al senso dell’accoglienza, della condivisione e del perdono.



Passo dopo passo

• Per far passare e maturare in tutti queste idee e per concretizzarle in un progetto condiviso e
realizzabile è necessario che genitori, parroco e catechisti si incontrino per un dialogo ed
un confronto reciproco e stimolante. Solo incontrandosi, parlando, discutendo, presentando
iniziative ed esperienze, si cresce insieme e voi genitori potete essere non solo collaborativi, ma
anche inventivi e fantasiosi nelle vostre proposte.

Naturalmente occorre essere realisti. Gli incontri devono essere compatibili con gli impegni di lavoro. L’esperienza però dimostra che è possibile accordarsi su alcune date per periodici incontri prolungati, come il pomeriggio di un fine settimana.

Accanto all’approfondimento di temi educativi e di fede, si possono prevedere momenti di scambio, di esperienze, di gioco per i bambini, una merenda insieme…

Un saluto e un augurio

• Vi ho tracciato brevemente, in questa lettera, quello che è il cammino di Iniziazione Cristiana,
cioè la gioia di comunicare il Vangelo ai vostri figli. Per voi genitori, questo è il tempo della semina, un segmento di vita ricco di speranza.
Questo percorso di catechesi è un po’ diverso da quello che avete fatto voi. È certamente più impegnativo.

D’altronde, lo ribadisco, non è possibile educare i vostri figli nella fede senza di voi.
Si comincerà gradualmente, con la catechesi alle famiglie che hanno bambini da zero a sei anni. È questo il primo passo che vogliamo fare. Poi, si proseguirà ponendo molta attenzione alla sperimentazione che si fa in altre diocesi italiane.

Intanto vi invito ad essere sempre più presenti nella vita della vostra parrocchia, a lasciarvi coinvolgere nelle sue iniziative e nelle sue attività.
Ricordatevi: la parrocchia è come una famiglia formata da tante famiglie. Anzi, la parrocchia è la
vostra famiglia!
Vi saluto consegnando a voi questa esortazione che l’apostolo Paolo rivolgeva alle famiglie cristianedella città di Efeso circa l’educazione dei figli: “Fateli crescere… negli insegnamenti
del Signore” (Ef 6,4).


X Pier Giorgio Debernardi
Pinerolo, 25 marzo 2011
Festa dell’Annunciazione del Signore

sabato 4 aprile 2015

Aveva detto: Non sono venuto per i giusti ma per i peccatori



CRISTO NOSTRA GIOIA E SPERANZA E’ RISORTO. ALLELLUIA! ALLELLUIA!

“Non c'è morte che tenga, non c'è tomba che chiuda, non c'è macigno sepolcrale che non rotoli via”.
Di don Tonino Bello
Cari amici,
come vorrei che il mio augurio, invece che giungervi con le formule consumate del vocabolario di circostanza, vi arrivasse con una stretta di mano, con uno sguardo profondo, con un sorriso senza parole!
Come vorrei togliervi dall'anima, quasi dall'imboccatura di un sepolcro, il macigno che ostruisce la vostra libertà, che non dà spiragli alla vostra letizia, che blocca la vostra pace!
Posso dirvi però una parola. Sillabandola con lentezza per farvi capire di quanto amore intendo caricarla: "coraggio"!
La Risurrezione di Gesù Cristo, nostro indistruttibile amore, è il paradigma dei nostri destini. La Risurrezione. Non la distruzione. Non la catastrofe. Non l'olocausto planetario. Non la fine. Non il precipitare nel nulla.
Coraggio, fratelli che siete avviliti, stanchi, sottomessi ai potenti che abusano di voi.
Coraggio, disoccupati.
Coraggio, giovani senza prospettive, amici che la vita ha costretto ad accorciare sogni a lungo cullati.
Coraggio, gente solitaria, turba dolente e senza volto.
Coraggio, fratelli che il peccato ha intristito, che la debolezza ha infangato, che la povertà morale ha avvilito.
Il Signore è Risorto proprio per dirvi che, di fronte a chi decide di "amare", non c'è morte che tenga, non c'è tomba che chiuda, non c'è macigno sepolcrale che non rotoli via.

Auguri. La luce e la speranza allarghino le feritoie della vostra prigione.
Vostro,don Tonino, vescovo
                                             
AUGURI di BUONA E SANTA PASQUA
 
anche da parte mia, carissimi amici che seguite i miei piccoli sforzi,  “con una stretta di mano, con uno sguardo profondo, con un sorriso senza parole!”, convinto che il Signore Gesù è veramente risorto, forza e fonte della nostra e vostra fede.
Assieme agli auguri un sentito grazie per la vostra amicizia e bontà nel seguire il nostro balbettio nei commenti del vangelo della domenica e feste: cerchiamo di fare del nostro meglio, speriamo sempre nei vostri commenti che, anche se brevi, sono dichiarazione e testimonianza di fede,  stimolo per tutti coloro che ci leggono.

domenica 29 marzo 2015

Genitori: Catechismo sì, ma non senza di voi


Mamma e papà, testimonial del Vangelo



In questa seconda parte si vuol trovare un'intesa di partecipazione dei genitori alla formazione cristiana dei loro figli: risvegliare i ricordi dell'infanzia quando i genitori, anche se analfabeti ci insegnavano le prime preghiere che a loro volta avevano appreso dai nostri nonni. I tempi sono cambiati, la preparazione dei genitori intellettuale dei genitori  pure, ciò che renderebbe più agevole la loro partecipazione, tenendo conto che anche i ragazzi non sono quelli di una volta.
Con la mano sul petto, forse anche noi genitori avremmo qualcosa da rimproverarci in fatto di frequenza religiosa: la Chiesa tutta ha bisogno di noi, in  attesa di un risveglio primaverile dei cuori.


Seconda parte:  Lettera del vescovo di Pinerolo ai genitori , educatori nel cammino dell’Iniziazione Cristiana dei figli


Nei primi anni di vita si prepara il futuro

Il mio pensiero va prima di tutto alle famiglie che hanno bambini da zero a sei anni. È questo un
tempo particolarmente ricco di speranza.
È importante che vi prepariate con impegno alla celebrazione del Battesimo dei vostri figli. Il
Signore li vuole rendere partecipi del dono della sua vita divina. Infatti, ricevere il Battesimo è essere “immersi” nella vita di Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo. Da quel momento ciascuno di noi non ha soltanto più un orizzonte terreno, ma eterno. Sarà certamente un giorno di festa che lascerà una traccia profonda nella vostra vita. Rivolgetevi al vostro parroco, se è possibile ancora prima che nasca il bambino, per comunicargli questa bella notizia. Ne sarà certamente contento. Vi accoglierà con molta cordialità, gioia e premura. Vi proporrà due o tre incontri in preparazione al Battesimo.

Credetemi, sono molto utili, perché vi aiutano a comprendere il dono che vostro figlio sta per ricevere e mettono a fuoco quali sono i vostri compiti e le vostre responsabilità come genitori cristiani. Potrete così conoscere più da vicino il vostro parroco e stabilire con lui un rapporto di autentica amicizia e collaborazione.

Questi incontri, forse, non li farà da solo ma con l’aiuto di una coppia di sposi, genitori come
voi, che porterà la sua bella esperienza educativa.
Dopo il Battesimo, la vostra comunità parrocchiale continuerà a seguirvi. La parrocchia la
dovete sentire come la vostra casa. Nei primi anni di vita, il bambino è particolarmente
sensibile a ricevere stimoli che incideranno sul suo futuro. Occorre non sprecare questo tempo.

Quante esperienze religiose si possono trasmettere ai figli tenendoli ancora tra le braccia! L’amore di Dio si sperimenta attraverso il vostro amore. Ad esempio, pregare insieme in famiglia è un’esperienza molto bella. Ho visto dei genitori piangere, guardando il loro piccolo pregare.
Nel periodo dopo il Battesimo sino ai sei anni, il vostro parroco vi inviterà periodicamente a
degli incontri insieme ad altre famiglie, per aiutarvi a capire le fasi di crescita del vostro bambino
e ad accompagnarlo nel suo sviluppo non soltanto umano, ma anche di fede. Essere genitori educatori è un’arte e bisogna impararla.
Incontrandovi con altre famiglie che hanno bambini potrete fare insieme uno stesso cammino, condividere esperienze e scelte, e stringere anche fruttuose amicizie.

Catechismo sì, ma non senza di voi

I bambini crescono e giunge il momento in cui andrete in parrocchia per chiedere al parroco
quando vostro figlio può iniziare il catechismo con gli altri suoi coetanei. Tra le domande che gli porrete, forse, ci sarà anche questa: “Quando farà la Prima Comunione?” Oppure: “Quando farà la
Cresima?” Se guardiamo bene le cose, forse non sono queste le prime domande da fare.
Desidero, invece, aiutarvi a comprendere che il catechismo non ha come scopo ultimo e principale
la celebrazione dei sacramenti.

Il fine della catechesi dell’Iniziazione Cristiana non è preparare ai sacramenti ma introdurre nella
comunità cristiana attraverso i sacramenti, che sono come i passaggi e i momenti alti del cammino.
La catechesi di Iniziazione Cristiana non è, dunque, semplicemente un insegnamento dottrinale,
né “distribuzione” di sacramenti, ma una introduzione alla vita cristiana che coinvolge tutta
la vita. Si potrebbe dire che è un apprendistato.

Ma per fare questo, la vostra famiglia non deve stare ai margini. Vi trascrivo alcuni pensieri tratti da un documento dei vescovi italiani che ha segnato l’inizio del rinnovamento della catechesi: “Insostituibile è la partecipazione dei genitori nella preparazione dei figli ai sacramenti della
Iniziazione Cristiana. In tal modo non solo i figli vengono adeguatamente introdotti nella vita ecclesiale, ma tutta la famiglia vi partecipa e cresce: i genitori stessi annunciando ascoltano, insegnando imparano”

Mamma e papà, testimonial del Vangelo

• Voglio spiegarvi che cosa si intende dire con “Iniziazione Cristiana”. È questa una espressione
un po’ difficile che ritorna sovente in questa lettera.
Vostro figlio ha già imparato da voi, dal vostro amore, dai vostri racconti, dal vostro modo di pregare chi è Gesù e ciò che egli ci ha rivelato di Dio suo Padre. Verso l’età dei sette anni il bambino si mette con più assiduità alla sua scuola per diventare suo discepolo, per seguirlo come suo Maestro, per imparare la vita buona del Vangelo.

L’Iniziazione Cristiana è, dunque, una crescita progressiva nella fede, è una esperienza di vita cristiana proporzionata all’età dei vostri bambini, aiutati e incoraggiati dalla vostra presenza, con il sostegno della comunità, attraverso il parroco e i catechisti.

I fanciulli devono capire che è bello vivere da cristiani. Per questo il catechismo non è scuola, ma
“esperienza di vita”. Ecco perché insisto che accanto ai vostri bambini dovete esserci voi genitori!
Mamma e papà, siete testimonial del Vangelo!
Prima di tutto con l’esempio. È questa la prima strada per trasmettere la fede e far gustare la gioia
del Vangelo. Senza l’esempio si semina inutilmente. Sono sicuro che date l’esempio di valori umani
all’interno della vostra casa. Devono, però, esserci anche gli esempi concreti di vita cristiana: l’amore vicendevole, il perdono, la preghiera, la partecipazione alla Messa festiva …
Durante questo cammino saranno celebrati i sacramenti della Cresima e dell’Eucaristia.
L’Eucaristia è la fonte e il vertice della vita cristiana, è il sacramento della maturità cristiana.

Nella nostra tradizione, la Prima Comunione costituisce per i bambini e i genitori un indimenticabile giorno di festa. Ma, certamente, non è la «festa della Prima Comunione» lo scopo e il punto di arrivo dell’Iniziazione Cristiana dei vostri figli. Il vero scopo è aiutare i bambini e i ragazzi ad entrare nella comunità cristiana e ad acquisire una «mentalità di fede», cioè imparare a pensare, ad amare, a scegliere, a vivere come ci ha insegnato Gesù.

Lungo questo cammino i sacramenti della Cresima e dell’Eucaristia (e anche quello della Confessione) rappresentano le grandi tappe che ci avvicinano alla méta. La domanda, allora,
non è «quando» si celebra la Prima Comunione, ma «come» possiamo accompagnare i nostri figli all’importante appuntamento con Gesù Eucaristia.
E in questo percorso di avvicinamento ci sarà uno stretto coinvolgimento di voi genitori e, d’accordo  con voi, sarà fissato il «quando».

Intanto sarà bello alla domenica, il giorno del Signore, partecipare insieme, come
famiglia, alla celebrazione della Messa.

L’Eucaristia non è soltanto una bella cerimonia, ma è Gesù risorto che si rende realmente presente nel pane e nel vino, che, per opera dello Spirito Santo, diventano il suo Corpo e il suo Sangue. È difficile spiegare questo. Ma è una realtà meravigliosa. Con l’Eucaristia possiamo dire: “Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”. Solo partecipando attivamente e con fede alla Messa, passo dopo passo, riusciamo ad afferrare qualcosa di questo mistero e aiutare i nostri ragazzi a penetrarlo per quanto possibile. Così, quando vostro figlio giungerà alla Messa di “prima comunione”, questa sarà l’inizio di un’esperienza forte di amicizia con Gesù che segnerà profondamente la sua vita

venerdì 27 marzo 2015

Genitori, catechisti: educare è cosa del cuore




I figli sono dono di Dio, educare è cosa del cuore


Propongo questa lettera in oggetto in due puntate per dare adito alla riflessione. E' una lettera indirizzata ai genitori, catechisti/e e operatori di catechesi, lettera che vuole aprire la strada per un dialogo con i genitori e avvertire la loro importanza nell'educazione religiosa dei figli. Forse potremo apprendere anche come parlare ai genitori...
La lettera risale a qualche anno fa ma la ritengo ancora attuale anche perché, da quello che so, in questi ultimi cinque anni si è fatto molto poco con le famiglie

Prima parte - Lettera del vescovo di Pinerolo Mons. Pier Giorgio Debernardi ai genitori , educatori nel cammino dell’Iniziazione Cristiana dei figli


Carissimi mamma e papà,

Con questa lettera mi pare di bussare alla porta della vostra casa e di sentirmi invitato ad entrare
per condividere le vostre gioie e le vostre fatiche. Sono contento di incontrarmi con voi.
Anzi vorrei moltiplicare le occasioni di dialogo amico e fraterno.
So che avete dei bambini oppure dei ragazzi che intendete educare nella fede. Penso sia una scelta
che avete maturato insieme. Ne sono contento. Se la vostra famiglia è interconfessionale è indispensabile che sviluppiate una educazione cristiana con genuino spirito ecumenico.
Vi posso assicurare che avete intrapreso un percorso di felicità che ha la sua sorgente nel Vangelo.

I vostri figli sono dono di Dio

Di una cosa dovete essere certi, carissimi genitori, i vostri figli sono una benedizione di Dio.
Diventare papà e mamma è una esperienza meravigliosa che cambia radicalmente la vita. Penso alla
gioia che avete provato quando avete stretto per la prima volta tra le vostre braccia un figlio o una
figlia, vedendo riflessa nei loro lineamenti parte di voi stessi. Sono emozioni intensissime, difficilmente narrabili.
Voi li amate, e tanto, ma ancora di più li ama Dio. La vita è un suo dono meraviglioso, e voi l’avete
accolta con generosità e gioia. Il loro affetto e la loro esuberanza sono la cifra della vostra felicità.
Nella loro voce, nel loro sorriso, nel loro pianto, voi potete leggere ed interpretare tutte le gioie, le speranze e le sofferenze del mondo.

Educare è cosa del cuore

Generare è dono e responsabilità. Educare è come un nuovo “parto” che esige competenza, dolcezza, fortezza e fiducia. San Leonardo Murialdo era solito affermare che “quello dell’educatore è il
mestiere più difficile”. Unisce insieme gioia e trepidazione,vigilanza e perseveranza. Immagino le
soddisfazioni che avete già provato e continuate a sperimentare nel vedere crescere i vostri figli, ma
nello stesso tempo sono anche consapevole delle difficoltà e paure che avete già sofferto e ancora incontrerete.
Non scoraggiatevi. Educare è un’arte che si apprende facendo, osservando e studiando le loro
reazioni. L’educazione ha una qualità senza confronti: “è cosa del cuore”. Così diceva un educatore
che la sapeva lunga, don Bosco. Ma aggiungeva anche: “Noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se
Dio non ce ne insegna l’arte e non ce ne mette in mano le chiavi”.
Il cuore vi fa sognare grandi traguardi per i vostri figli. Non dimenticate, però, che il vero successo
nella vita dipende dai valori che voi siete capaci di trasmettere, come la fiducia, l’onestà, la laboriosità, l’amicizia, il rispetto, il sacrificio, la sincerità e i gesti concreti di solidarietà. Sono tutte realtà belle che arricchiscono e rendono il nostro vivere pienamente umano. Per questo occorre dedicare tempo per i figli, parlando e dialogando con loro.
Hanno bisogno di voi, delle vostre parole e della vostra attenzione. Bisogna amarli e renderli capaci
di amare.

Trasmettere la fede

Quando avete celebrato il Battesimo del vostro bambino, il parroco vi ha posto questa domanda:
“Che cosa chiedete alla Chiesa di Dio?”. Avete risposto: “Il Battesimo”. Poi ha aggiunto: “Chiedendo il Battesimo per il vostro figlio voi vi impegnate a educarlo nella fede … Siete consapevoli di questa responsabilità?”. Voi avete detto, spero con convinzione, “Sì.
Il Battesimo è il dono più bello del cuore di Dio, porta con sé la luce e la gioia della fede, che ci fa
intuire quanto Egli ci ama e come è capace di trasformare la nostra vita, aiutandoci a superare ogni
forma di egoismo per vivere nella logica della gratuità e dell’amore.
Questo dono è affidato alla vostra responsabilità e voi ne siete i primi custodi e testimoni. È un compito impegnativo ma certamente ricco di promesse.
Non è mai delegabile, in particolare nei primi anni di vita dei vostri figli. Siete voi che dovete narrare loro chi è Gesù e le realtà belle che ci ha proposto; egli ha vissuto la sua esistenza amando e perdonando, perché anche noi facciamo lo stesso.

Man mano che crescono, i vostri figli dovranno vedere in voi dei testimoni che cercano di vivere il
più possibile, in famiglia e nella società, ciò in cui credono. Senza di voi è difficile trasmettere la fede.
Intuisco una vostra difficoltà. Voi dite: “Come possiamo fare questo da soli?” Io vi rispondo: “La
vostra parrocchia non vi lascia soli. Parroco e catechisti vogliono mettersi al vostro fianco ed aiutarvi in questo compito così importante”.
Certamente in qualche famiglia vi sono delle ferite. Forse anche tra voi due l’unità si è un po’
incrinata, se non addirittura infranta. Nonostante questa dolorosa esperienza, non dovete dimenticare che la Chiesa vi comprende, vi accoglie e vi è vicina nel compito educativo. Non abdicate alla missione più importante per una mamma e un papà.

Ora vengo al perché di questa lettera

La nostra diocesi in questi anni è come un “cantiere” dove si stanno progettando dei nuovi cammini
di educazione alla fede. Lo stesso avviene in tante altre diocesi. Anche i vescovi italiani hanno
scritto una bella lettera che ha per titolo Educare alla vita buona del Vangelo che incoraggia e
sostiene il lavoro che abbiamo iniziato.
Voi mi direte: “Ma non è sufficiente fare come abbiamo sempre fatto?”
La risposta potrebbe essere assai articolata, ma preferisco rispondere con poche parole. È il tessuto culturale e sociale attorno a noi che è molto cambiato. Un tempo nelle nostre famiglie si respirava
una atmosfera cristiana, si sentiva forte l’appartenenza alla propria parrocchia. Oggi non è più così. Anche voi ve ne sarete accorti. Ci sono tante persone che si dicono “senza religione”, c’è un crescente analfabetismo religioso, c’è indifferenza verso le domande sul senso della vita. Vi sono
molti che non credono più in Dio o si fabbricano un dio secondo i propri gusti. Soprattutto la mentalità comune è lontana dai valori che il Vangelo ci propone. Siamo ritornati un po’ tutti “pagani”. Dio non entra più nelle scelte della nostra vita.
Occorre ritornare a vivere il Vangelo nella vita quotidiana, aiutando ogni famiglia a percepire la
sua vocazione di essere “culla” della fede.
Vi voglio, dunque, parlare dei progetti che stiamo preparando e che vi coinvolgeranno più attivamente, perché senza di voi, papà e mamma, la catechesi ai vostri figli è infruttuosa.

giovedì 19 marzo 2015

Papa Francesco e l'anno della misericordia



Chiesa \ Chiesa nel mondo

Anno Santo della misericordia.

Intervista ad Enzo Bianchi: umanità ferita ne ha bisogno


Papa Francesco annuncia l'Anno Santo della misericordia  ANSA
15/03/2015 08:00
“Riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio con la quale siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e donna del nostro tempo”: questo il senso dell’Anno Santo della Misericordia secondo Papa Francesco che, a sorpresa, ha annunciato venerdì scorso l’indizione di un Giubileo straordinario. Tanti i commenti seguiti alle sue parole.

Adriana Masotti ha chiesto a Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, qual è stata la sua reazione:
R. – E’ stata  una reazione non solo positiva, ma direi piena di gioia e con un sentimento di ringraziamento a Papa Francesco, perché fin dall’inizio del suo pontificato lui ha fatto capire a tutta la Chiesa che voleva una stagione di misericordia. Papa Giovanni XXIII aveva già insistito: “Bisogna usare la medicina della misericordia, piuttosto che imbracciare le armi del rigore”. Sono parole sue nella prolusione all’allocuzione di inizio del Concilio. Ecco, Papa Francesco ha ripreso questa eredità. Conosce bene la situazione del mondo: l’umanità è molto ferita, l’umanità non ha grandi orizzonti di speranza, l’umanità ha bisogno che qualcuno si pieghi come il samaritano sulle sue piaghe e soprattutto usi misericordia, pur sempre, certo, dicendo che il male c’è, sempre indicandolo come male, come peccato, ma facendo sempre la distinzione tra il male che c’è e chi lo commette, che può sempre avere un cammino di redenzione e può sempre chiedere perdono al Signore.
D. Il Papa ha parlato soprattutto ai confessori, dicendo che loro dovranno essere misericordiosi
R. – La misericordia certamente, come dice la Scrittura, ha bisogno di uomini e donne che oltre che conoscerla su di loro, da parte di Dio, sappiano poi annunciarla a tutti gli uomini. E i confessori certamente sono al primo punto. Fare il ministro della confessione è una cosa ardua, perché si tratta davvero di collocarsi in ginocchio accanto al peccatore per invocare da Dio l’assoluzione. Bisogna condividere le sofferenze del peccatore, la sua nostalgia di Dio, capire il suo desiderio di cambiare vita, quindi guardare più con gli occhi di Dio il peccatore, non guardarlo con i nostri occhi che lo farebbero soltanto condannare.
D. – Il Papa parla anche di una Chiesa che ha bisogno di misericordia, perché è peccatrice, e che in questo Giubileo potrà trovare la gioia del perdono
R. La Chiesa ha bisogno di riforma - Papa Francesco continua a dirlo - la Chiesa deve essere sempre riformata dal Signore. Vive nel mondo, è composta di uomini e donne, peccatori e peccatrici, e quindi c’è davvero in quest’anno la possibilità per la Chiesa di impegnarsi in questa conversione, di ottenere la misericordia di Dio, di invocarla, riconoscendo le proprie colpe, i propri limiti e mostrando anche una grande solidarietà con gli uomini. Noi non abbiamo steccati con l’umanità peccatrice, siamo loro fratelli. Semplicemente sui peccati siamo chiamati a mettere lo sguardo di Dio, rispetto a loro che magari non ci riescono, perché non conoscono Dio o non ce la fanno ad assumere questo sguardo.