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mercoledì 8 maggio 2013

I ragazzi crescono assieme a noi


Propongo un articolo di Anna Maria Bastianini, in cui si parla del rapporto da tenere con i ragazzi in modo che la loro crescita vada affiancata alla scoperta degli altri: i ragazzi devono crescere insieme, i genitori e il catechista facendosi uno di loro crescono insieme, dando testimonianza della propria vita umana e cristiana.








Da “I RAGAZZI CRESCONO INSIEME A NOI”
 di Anna Maria Bastianini ( ELLEDICI)

Lo abbiamo sperimentato tante volte: la tecnica, il programma, le attività, i contenuti da soli non bastano a garantire il successo di un’iniziativa, né la costante presenza e partecipazione dei bambini. È l’incontro con la persona dell’educatore a dare ai bambini la possibilità di crescere essi stessi come persona. Proviamo a soffermarci su questa affermazione per capirla meglio, esplicitandone alcuni aspetti. 






I ragazzi ci osservano

Ce lo dicevano già i nostri nonni: per i ragazzi è l’esempio che conta, non tanto ciò che si predica o ciò che si ordina. La saggezza popolare richiama una caratteristica importante del crescere umano che avviene attraverso l’identificazione con l’altro, cioè assimilando e interiorizzando atteggiamenti, modi di pensare e di fare, propri degli adulti che sono significativi per ognuno di noi. È per questo che non possiamo illuderci che i nostri bambini e i nostri ragazzi risolvano problemi che non abbiamo risolto noi o vivano con serietà l’esperienza della costruzione di sé, dell’incontro con gli altri, del rapporto con Dio se noi stessi non siamo appassionatamente e continuamente all’opera in questa direzione.  

"Parlarsi" è più importante del "fare"

Nei confronti dei ragazzi non conta solo un fare pensato per loro e per ognuno di loro (attività, programmi, contenuti, ecc), ma soprattutto una permanente disponibilità a parlarsi, a pensare insieme ai ragazzi riflettendo sul senso delle situazioni, delle cose che si fanno, a fare richieste coerenti con i valori in cui crediamo e che stiamo cercando di trasmettere loro. "È stato importante per noi, fin dal primo momento", dice un’animatrice con molti anni di esperienza, "l’impegno a costruire insieme le regole del gruppo, esplicitandone e discutendone con loro il significato. E poi fermarsi a chiarire, a riflettere con ognuno di loro ogniqualvolta emergevano delle difficoltà. Così pian piano si costruisce un gruppo, in cui ci si vuole davvero bene, non perché va sempre tutto bene, ma perché si diventa capaci di affrontare le difficoltà e i contrasti e di aiutarsi in questo vicendevolmente". 

Stimolare le personalità dei ragazzi

In un tempo in cui tutti siamo saturi di cose da fare, prigionieri dei ritmi invivibili della vita di ogni giorno, è importante non dimenticare che è compito di ogni adulto che abbia responsabilità educative il sostenere nei bambini e nei ragazzi la capacità di pensare. Il pensare garantisce il riconoscimento di emozioni, bisogni e desideri - quelli personali e quelli degli altri - che permettano di "stare bene con se stessi e stare bene con gli altri" (Adler). Può essere più scomodo, ma è certo più affascinante avere a che fare con tante personcine pensanti, perché in grado di esercitare un pensiero critico, a volte provocatorio. La disponibilità a mettersi in discussione conduce a essere noi stessi pensanti, capaci di mantenere vivo e funzionante un nostro laboratorio interno. I bambini non pretendono che sia in ordine perfetto. Anzi. Ci chiedono soltanto che sia sempre aperto, pronto ad accogliere emozioni, sofferenze, gioie, problemi e a riformularli per loro e insieme a loro.
  
E se loro non sembrano capire e reagire?

Diceva una mamma delusa dal comportamento "egoistico" dei suoi bambini: "Io e mio marito siamo permanentemente al loro servizio, sono loro al primo posto per noi, facciamo ogni cosa con l’intenzione che vada bene per loro… Ma loro non imparano a fare altrettanto. Si fanno servire, ma mai che uno si alzi spontaneamente a togliere un piatto da tavola e per farsi aiutare bisogna reggere lamentele, sbuffi… e poi sembrano cose fatte tanto per farle. Eppure ci vedono tutti i giorni cercare di fare le cose bene per loro".



È facile oggi essere portati a pensare, come questa mamma, che sia sufficiente voler bene ai bambini perché essi stessi imparino a volere bene. "È un bimbo molto amato, saprà amare", si dice. È vero: l’aver sperimentato rapporti affettivi con figure adulte che garantiscono cura, calore, sicurezza, è condizione di base per la crescita psicologica. L’evolversi di questi rapporti è tuttavia decisivo per la maturazione affettiva: la capacità innata a riconoscere l’altro e a entrare in relazione, maturando il piacere della reciprocità e dello scambio in tutte le età della vita, non si sviluppa se non è coltivata e salvaguardata nella relazione con gli adulti prima in famiglia e poi fuori.

Fargli scoprire l’altro

Mentre si struttura l’identità - "io sono io" - si dovrebbe costruire al contempo il riconoscimento dell’altro che permette di conquistarsi quel "non ci sono solo io" che diventa interesse e curiosità per l’altro riconosciuto diverso da sé, attenzione ad affermare il proprio "territorio" sperimentando la possibilità di regolare i rapporti con gli altri attraverso un sano utilizzo dell’aggressività, senza invadere o essere invasi; il piacere di condividere, di collaborare, di muoversi nel mondo, liberati dalla continua attenzione a se stessi, a "essere i migliori", "i più intelligenti", imparando a esserci, semplicemente, nel confronto con la realtà e con gli altri. 

Tocca all’adulto creare le condizioni

Tocca all’adulto favorire e sostenere la graduale capacità di "decentramento" del bambino, cioè la possibilità di riconoscere punti di vista, emozioni, opinioni, modi di fare esperienza, esigenze che sono diverse dai propri. È ancora l’adulto tenuto a garantire, attraverso le regole condivise, condizioni di confronto e di collaborazione in cui ognuno trovi il suo spazio in armonia con quello degli altri al di là di una logica meramente competitiva.



Sotto questo profilo non solo le regole sono importanti, ma anche la capacità di fare ai bambini richieste e proposte che sono importanti per abituarli a interrompere ogni tanto l’attenzione su di sé, sui propri pensieri, bisogni ed emozioni per dare un contributo alle esigenze della comunità, sperimentando il proprio valore, non perché è "il più bravo", ma perché anche lui, nel suo ruolo di bambino, può "essere utile". 




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